Recentemente anche la Ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, ha rilanciato il tema del mismatch fra domanda e offerta di lavoro, quantificando in un milione i posti di lavoro che le imprese italiane non riescono a coprire. Questo fenomeno, ormai strutturale, è stato  definito come il paradosso del mercato del lavoro italiano, che da un lato registra elevatissimi tassi di disoccupazione giovanile, un tasso di occupazione femminile inferiore alla media UE e molto lontano da quello di Germania e Francia, la presenza  di oltre due milioni di NEET, cioè  di giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in attività formative e, dall’altro, registra una cronica e crescente difficoltà da parte delle imprese nel reperire il personale di cui hanno bisogno.

Per le imprese artigiane e le micro e piccole imprese la criticità che maggiormente viene evidenziata nella ricerca di personale si traduce nel disallineamento tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e le competenze possedute dai candidati. E, quindi, nella distanza che connota i percorsi di istruzione e formazione rispetto ai fabbisogni di professionalità espressi dalle imprese.

E, del resto, appare sempre più evidente come il mercato del lavoro, oggi, non è più un mercato dei posti di lavoro, ma delle professionalità.

L’ultima analisi dell’Ufficio Studi di Confartigianato, basata su dati Unioncamere-Anpal, Sistema Excelsior, ha stimato che nell’artigianato sono oltre 260mila le assunzioni che risultano di difficile reperimento.

Le situazioni più critiche si registrano per gli operai specializzati e i conduttori di impianti per attività metalmeccaniche ed elettromeccaniche, nei settori della moda e del legno. Un conduttore di mezzi di trasporto su due è difficile da reperire.

I motivi della difficoltà di reperire tali figure professionali sono determinate sia dal ridotto numero di candidati, sia per la preparazione inadeguata degli stessi.

E’, quindi, quanto mai urgente approntare soluzioni per risolvere o almeno tentare di attenuare la questione della mancanza di competenze, ad iniziare da quelle che si legano all’utilizzo delle tecnologie green e digitali,  le due grandi transizioni che per non perdere competitività vanno governate in modo sostenibile e graduale.

 

Costruire le competenze

Il sistema formativo dei giovani appare fortemente inadeguato, se si pensa alla carenza nelle competenze STEAM (acronimo inglese che indica le competenze nelle Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Arte e Matematica), alle basse percentuali di raggiungimento dei titoli di studio secondari e terziari e, infine, ai livelli preoccupanti di abbandono precoce degli studi.

Si tratta di un problema complesso che, evidentemente, non può essere affrontato con soluzioni semplici, se non semplicistiche (quale, ad es., la proposta di innalzamento a 18 anni dell’obbligo scolastico, che ove attuata mantenendo inalterato l’attuale sistema scolastico, finirebbe solo con l’aggravare il problema della dispersione scolastica).

Peraltro, tutti parlano dei giovani, fornendo spesso ricette astratte e ideologiche, ma pochi si prendono la briga di parlare realmente con i giovani e capire quali sono le loro necessità, bisogni e aspirazioni.

Parlando con i giovani, molti scoprirebbero, ad esempio, che non è assolutamente vero che non hanno voglia di lavorare, anche se a volte di fronte al lavoro si sentono fragili, perché avvertono di avere una cassetta degli attrezzi non adeguata, si sentono soli, sentono la carenza di esperienze lavorative, di avere avuto una formazione troppo teorica, di avere poche opportunità di incontro con il mondo delle imprese, di avere a disposizione insufficienti servizi di orientamento al lavoro e di essere in possesso di una formazione non aggiornata alla realtà del mondo lavorativo. Inoltre, è aumentato nei giovani il desiderio di cercare nel lavoro esperienze di vita, più che un “posto” di lavoro.

Proprio per questo vanno rafforzati tutti gli strumenti che avvicinano il giovane all’impresa: strumenti propri dell’artigianato, a partire dall’apprendistato, sia duale che professionalizzante.

La cultura duale e quindi l’alternanza scuola lavoro e l’apprendistato hanno il valore di rappresentare strumenti che avvicinano il mondo scolastico formativo al mercato del lavoro ed è per questo che vanno sostenuti con convinzione se vogliamo dare un futuro ai giovani nel nostro Paese, che poi equivale a dare un futuro al nostro Paese.

La questione delle competenze è, quindi, tutta incentrata sul rapporto scuola-lavoro e condizionata da un approccio culturale che possiamo sintetizzare nello slogan “prima si studia e poi si lavora”.

Per Confartigianato la cultura duale è da sempre considerata fondamentale per l’inserimento dei giovani nelle nostre aziende: aziende artigiane e/o di piccole dimensioni che vedono nell’apprendistato la via principale di ingresso nel mondo del lavoro delle giovani generazioni.

Ma l’apprendistato rappresenta ed ha rappresentato anche la palestra in cui si sono formate generazioni di imprenditori artigiani che proprio partendo da questa esperienza iniziale dell’apprendistato facendo tesoro delle competenze professionali acquisite sono riusciti a metterle a valore costruendo attività imprenditoriali che a loro volta in una catena del valore positivo possono ospitare altre generazioni di apprendisti.

Qui c’è un aspetto fondamentale da sottolineare, che l’impresa ha una propria storia, una cultura e una capacità formativa. Ecco perché l’unico contratto di lavoro per l’assunzione di giovani meritevole di incentivazione è l’apprendistato, perché consente al giovane di crescere e formarsi in un contesto lavorativo, con un contratto di lavoro che assicura formazione vera, anche attraverso il trasferimento di competenze che solo l’imprenditore artigiano possiede, salario e tutele contrattuali, comprese le tutele del welfare bilaterale, quali la sanità integrativa e le altre provvidenze per far fronte alle esigenze della vita quotidiana.

Il futuro è dell’impresa a valore artigiano, perché offre esperienze di vita, crea cose belle e uniche, perché in un modello economico-sociale orientato non più al consumo usa e getta, ma alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente, la riparazione, il riciclo, il riuso, sono propri dell’impresa artigiana. Perché il modello di impresa a valore artigiano, identificabile anche in imprese che superano i tradizionali limiti dimensionali, è sì parte della tradizione e del  territorio, ma ha il gusto dell’innovazione, intercetta i nuovi mestieri legati alle transizioni  ed esprime i valori di un  nuovo umanesimo da cui ripartire per un rinnovato modello sociale e di sviluppo.

 

L’orientamento

Considerato tutto quanto sopra, non può non affrontarsi il tema dell’orientamento.

Recentemente sono state adottate le Linee guida per l’orientamento che rappresentano un primo importante passo verso la definizione di un sistema di orientamento necessario per superare le maggiori criticità del nostro mercato del lavoro, a partire dal disallineamento delle competenze.

La riforma del sistema di orientamento dovrebbe consentire di guidare i giovani e le loro famiglie verso percorsi formativi che tengano conto da un lato delle attitudini e propensioni personali e dall’altro delle prospettive occupazionali e di lavoro futuro.

Un orientamento efficace e strutturato in tutto il percorso formativo ma con una attenzione specifica nei momenti di passaggio da un ciclo di studi ad un altro (tra le scuole medie e le superiori e tra le superiori e gli ITS e/o l’università) consentirebbe di contrastare proprio quei fenomeni preoccupanti di cui abbiamo detto, come il mismatch di competenze e la dispersione scolastica.

La previsione dei moduli di orientamento di 30 ore per tutte le classi e in ciascun anno scolastico rappresenta un importante segnale di indirizzo e l’introduzione delle 30 ore curriculari nell’ultimo triennio lo rafforza ulteriormente in una fase importante e cruciale per le scelte dei ragazzi.

Altri elementi positivi riguardano le previsioni per facilitare i passaggi tra i diversi percorsi di istruzione e formazione, il riorientamento necessario in caso di scelte scolastiche da rivedere, così come l’introduzione della certificazione anno per anno delle competenze, la realizzazione dell’E-portfolio che registra e accompagna il percorso scolastico dello studente, agevolandone le scelte.

Infine, va apprezzata la previsione in ogni istituzione scolastica della figura per il Job placement valorizzando, quindi, alcune buone pratiche già presenti a livello territoriale ma rendendole sistemiche e collegandole ad uno strumento di raccolta della documentazione territoriale e nazionale sull’offerta formativa terziaria e di dati utili per la transizione scuola-lavoro, in relazione alle esigenze dei diversi territori (Piattaforma digitale unica per l’orientamento) che l’esperto di Job placement potrà utilizzare per agevolare la prosecuzione del percorso di studi o l’ingresso nel mondo del lavoro, favorendo il match tra competenze degli studenti e la domanda di lavoro.

L’attività di orientamento va affidata ad orientatori specificatamente formati e aperta agli stakeholder e al territorio di riferimento. Inoltre, per aumentarne la profittabilità dovrebbe implicare anche una efficace attività di informazione/comunicazione capace di far conoscere realtà formative ancora poco note (si pensi agli ITS) o sulle quali gravano pesanti pregiudizi (Istruzione e Formazione Professionale -IeFP), al fine di farne conoscere le potenzialità.

La formazione professionale, infatti, rappresenta ancora una scelta residuale. In questo ambito andrebbe rilanciata e/o sostenuta anche l’alternanza scuola lavoro che, insieme all’apprendistato duale, può portare ad un rinnovato rapporto tra scuola e lavoro.

Il rilancio dell’istruzione e della formazione tecnica e professionale, anche grazie al sistema di orientamento, è fondamentale in quanto si tratta di percorsi che prevedono in uscita la maggior parte delle figure professionali richieste dalle imprese, collegate alle filiere produttive della manifattura e del Made in Italy, alle nuove tecnologie e che spesso sono figure di difficile reperimento.

La qualità formativa di tali percorsi va assicurata attraverso uno stretto collegamento con i sistemi produttivi strategici dei territori per una facile transizione nel mondo del lavoro, potenziando le attività didattiche laboratoriali e gli strumenti di alternanza scuola-lavoro.

 

E il liceo del made in Italy?

Nell’ambito del contesto fin qui esaminato, il tema del liceo del made in Italy o del liceo dell’artigianato, può avere una sua valenza positiva. Porre l’attenzione su un percorso formativa dedicato al Made in Italy significa dare valore non solo alle nostre produzioni ma anche al nostro modo di produrre valore e significa dare opportunità di lavoro di qualità ai nostri giovani. Inoltre, la denominazione “liceo” potrebbe giocare un ruolo positivo in termini di appeal e dare un nuovo impulso agli attuali percorsi di istruzione tecnica e professionale, compresa la formazione regionale (IeFP), valorizzando gli insegnamenti laboratoriali per l’acquisizione di competenze STEAM, con particolare attenzione ai temi dell’innovazione, del digitale, della sostenibilità e dell’imprenditorialità.

Il rischio che si corre però è quello di aggiungere agli ordinari programmi degli attuali percorsi liceali qualche ora di insegnamento teorico di made in Italy.

E’ evidente che se il liceo del made in Italy sarà solo un fatto nominalistico e non si interverrà su tutto il resto, cambierà poco o nulla.

I nudi nomi, infatti, non sono sufficienti a cambiare realmente le cose, anche perché, come ci hanno insegnato i nostri classici, i nomi sono conseguenza delle cose.