Sembra spirare un vento nuovo, dopo la narrazione apologetica della globalizzazione egemone negli ultimi trent’anni. In questa fase di profondo ripensamento di quel paradigma, alla luce del bilancio controverso dei suoi risultati economici e sociali, si assisterà a un ritorno del protagonismo dei territori e a una riappropriazione della primazia dei luoghi rispetto ai flussi?

È sorprendente leggere in questi giorni sulle colonne del “Financial Times” – che non è propriamente una gazzetta di provincia, bensì il giornale di riferimento del capitalismo e della finanza occidentali – la teorizzazione di un “post-neoliberal world”. Al fine di ridurre la nostra vulnerabilità nei rapporti con i quadranti geopolitici più instabili e inaffidabili, non ci si limita a sostenere la prassi del re-shoring – ossia il rimpatrio delle produzioni – o a ventilare strategie di friend-shoring – come dire: confiniamo le catene globali del valore entro un perimetro definito unicamente dagli Stati “amici”. Su quelle pagine si possono leggere persino affermazioni perentorie, del tenore della seguente: “All economics is local”.

 

“Il vento nuovo soffia dopo un lungo periodo in cui i nostri territori sembravano consegnati a un destino di irrilevanza politica”

 

Il vento nuovo soffia dopo un lungo periodo in cui i nostri territori sembravano consegnati a un destino di irrilevanza politica. Quale che sia la valutazione che si può pronunciare su ciascuna delle misure di rilevanza localistica varate negli ultimi tempi (l’abolizione delle Province, l’accorpamento delle Camere di commercio, la residualità delle Comunità montane, fino al dimezzamento del numero dei parlamentari, che ha fatto sì che molti territori italiani oggi non possano esprimere neanche un solo rappresentante alla Camera o al Senato), non c’è dubbio che il filo rosso che le lega è il ridimensionamento della capacità di influenza delle forze del territorio. In fondo, se finora l’obiettivo prioritario era consistito nell’agganciare i flussi della globalizzazione per trarne il massimo dei vantaggi, i territori finivano per perdere valore in sé: dovevano svolgere la funzione di trampolini di lancio per consentire alle imprese di andare per il mondo a conquistare nicchie di mercato. Ma adesso le valutazioni sembrano cambiare segno. Non è un caso che sia ricomparsa nell’agenda politica l’ipotesi della devoluzione dei poteri dal centro alla periferia, attraverso un disegno di riforma costituzionale diretto a rafforzare le competenze degli enti più prossimi alle comunità locali: le Regioni. La proposta di riforma in nome dell’“autonomia differenziata” è una delle soluzioni possibili, ma ciò che conta è il fatto che sia stata sollecitata da una domanda che torna ad essere particolarmente avvertita: è la poliarchia territoriale la forma di governance istituzionale migliore per il policentrismo italiano?

 

“Il 95,2% degli italiani è convinto che la pluralità delle identità territoriali, espresse anche dagli artigianati locali, è una pregevole caratteristica del nostro Paese”

 

L’Italia è certamente il Paese dei tanti territori. E per gli italiani le peculiarità di ciascun contesto locale sono declinazioni della stessa italianità: le diversità territoriali sono differenze che arricchiscono, non una minaccia all’unità nazionale. Analogamente, l’artigianato è indubbiamente parte della storia e delle tradizioni dei territori. Secondo una recente indagine realizzata dal Censis per Confartigianato, il 95,2% degli italiani è convinto (molto o abbastanza) che la pluralità delle identità territoriali, espresse anche dagli artigianati locali, è una pregevole caratteristica del nostro Paese, un vero e proprio patrimonio (si noti che questa convinzione è condivisa trasversalmente nelle diverse circoscrizioni geografiche, dal Nord al Sud). È altrettanto indubitabile (complessivamente è l’opinione del 92,5% degli italiani) che le piccole e le piccolissime imprese sono una risorsa viva per i territori italiani. Più nello specifico, il 91,5% dei nostri connazionali ritiene che le imprese artigiane siano importanti per le economie territoriali. Si tratta di una ricchezza che contribuisce pure al successo delle eccellenze del made in Italy: ma anche le imprese artigiane che operano sui mercati globali restano profondamente radicate nelle comunità locali originarie.

 

“Il ruolo giocato dall’artigianato nei territori è confermato dalle statistiche ufficiali”

 

Quelle elencate non sono solo consapevolezze molto diffuse nell’opinione pubblica. Il ruolo giocato dall’artigianato nei territori è confermato dalle statistiche ufficiali. Innanzitutto, le imprese artigiane sono fortemente integrate nelle filiere della manifattura. Per l’esattezza, rappresentano il 59,9% del totale delle imprese del settore manifatturiero. In alcuni comparti la percentuale è ancora più alta rispetto al dato medio: si arriva all’80,7% nella gioielleria, al 78,5% nell’industria del legno, al 66,6% nel comparto delle riparazioni, manutenzioni e installazioni di macchine e apparecchiature, al 64,8% nella fabbricazione di mobili, al 64,8% anche nelle industrie alimentari. Inoltre, nei Sistemi locali del lavoro ad alta specializzazione produttiva, dove gli indici economici e occupazionali sono migliori, la presenza delle imprese artigiane è superiore al dato medio nazionale. Ciò accade, ad esempio, in sette Sistemi locali del lavoro del made in Italy su dieci, dove tre imprese attive su dieci sono appunto imprese artigiane.

C’è da aggiungere, per converso, che le imprese artigiane riescono a radicarsi pure nelle zone del Paese caratterizzate da un tessuto imprenditoriale povero e fragile. Nei territori lontani dai grandi assi logistici, come ad esempio l’ossatura appenninica, che sono quindi più ostili all’insediamento delle attività produttive – e dai quali, infatti, la grande industria si tiene lontana –, le attività artigiane rappresentano di fatto un baluardo al rischio di desertificazione e di degrado, evitando con la loro presenza che quei contesti finiscano per avvitarsi dentro una irreversibile spirale di anomia.

 

“L’artigianato contribuisce a rendere i territori dei “pieni” significanti”

 

In definitiva, l’artigianato è un motore fondamentale per la creazione di valore economico e sociale nei territori, e allo stesso tempo costituisce un presidio insostituibile per la coesione e la qualità della vita a livello locale. Contribuisce, insomma, a rendere i territori dei “pieni” significanti, in grado di partecipare alla competizione globale non sulla base di un feroce produttivismo dalle ormai evidenti diseconomie esistenziali e ambientali, ma sulla scorta di una capacità rara di tenere insieme virtuosamente le quantità e la qualità delle produzioni, offrendo forme di lavoro gratificanti – non alienanti –, salvaguardando la prossimità e la relazionalità. Perché l’artigianato è uno stile di vita, prima di tutto: un luogo dello spirito.

Con una certa meraviglia, constatiamo che anche nelle grandi aree metropolitane sta avvenendo la riscoperta del valore della prossimità. Secondo l’indagine citata, l’81,5% degli italiani dichiara che negli ultimi anni ha prestato maggiore attenzione alle attività presenti nelle vicinanze (negozianti, artigiani, esercizi pubblici). E il 94,1% giudica importante per la propria qualità della vita la possibilità di rivolgersi ad artigiani di fiducia presenti nella propria zona di residenza. Questi sentimenti sono confermati dai segnali di un risveglio delle attività artigiane proprio nelle grandi città. Negli ultimi dieci anni, tra il 2021 e il 2022, mentre a livello medio nazionale, per effetto delle tendenze demografiche, si è registrata una variazione negativa del numero di imprese artigiane attive (-1,1%), sono invece aumentate a Napoli (+2,6%), Genova (+1,3%), Torino (+1,1%), Palermo (+1,1%), Milano (+0,4%), con la sola eccezione di Roma (-3,4%). Nello stesso arco di tempo, si osserva un incremento dell’occupazione artigiana nei maggiori agglomerati urbani: +2,7% a Palermo, +2,5% a Genova, +2,4% a Torino, +1,9% a Milano, +0,7% a Napoli.

Nella fase di transizione che stiamo vivendo, l’impresa artigiana viene percepita al tempo stesso come una soluzione praticabile di fronte a una delle sfide più impegnative della nostra epoca: ne viene infatti riconosciuta la forte propensione alla sostenibilità, al punto che per il 91,8% degli italiani uno sviluppo locale rispettoso dell’ambiente passa anche per la valorizzazione del lavoro artigiano. Le prime quattro qualità associate all’artigianato nell’immaginario collettivo? Il talento (per il 39,0% degli italiani), la tradizione (37,4%), la qualità (34,8%) e la creatività (32,8%). Non sono questi, in verità, i valori per cui l’Italia è famosa e apprezzata nel mondo?