Il rinnovo generazionale e il rapporto tra generazioni sono al centro della realtà in continuo mutamento. Le condizioni del rapporto tra generazioni e dei meccanismi del rinnovo generazionale devono poter essere assicurate e funzionare in modo da consentire a chi è anziano, da un lato, di vivere a lungo e bene, e a chi è giovane, dall’altro, di poter avere le condizioni per partecipare in modo solido ai processi che generano sviluppo e benessere.

Questo è ancor più vero oggi. Nelle società moderne avanzate, infatti, le persone si trovano a proiettare i propri percorsi di vita in un contesto di crescente complessità con punti di riferimento e coordinate continuamente messe in discussione dalle grandi trasformazioni demografiche, sociali, economiche e tecnologiche in atto.

In particolare, i giovani sono sempre stati una componente abbondante delle popolazioni del passato, mentre sono oggi in drastica riduzione quantitativa. Tra la fine del secolo scorso e le prime decadi dell’attuale, l’Italia è stato il paese che con più metodica perseveranza in Europa ha agito nell’opera di indebolimento strutturale di tutta la fascia giovanile.  Un processo di degiovanimento che ora sta riversando gli effetti negativi sulle coorti in entrata nella vita adulta e nella piena età lavorativa. Secondo i dati Eurostat, negli ultimi vent’anni la popolazione europea è diminuita di quasi 4,5 milioni nella fascia d’età 30-34 (da 32,5 a 28,1 milioni). La corrispondente perdita dell’Italia è stata di 1,3 milioni, pari a circa il 30% della perdita totale osservata nell’Ue-27.

Va inoltre aggiunto che il percorso di transizione alla vita adulta – che ha come asse portante la transizione scuola-lavoro – risulta oggi più frammentato e incerto rispetto a quanto sperimentato dalle generazioni precedenti.

 

La combinazione tra instabilità lavorativa e basse retribuzioni rende i giovani italiani più a lungo dipendenti dai genitori e frena la formazione di una propria famiglia, esponendoli al rischio di diventare working poor

 

Lo snodo, in particolare, intorno ai 30 anni rappresenta un punto cruciale nel rapporto tra presente e futuro, sia a livello individuale che collettivo. Le prospettive di realizzazione personale e di successo professionale dipendono dalle condizioni in cui ci si trova in tale fase della vita, e la solidità quantitativa e qualitativa delle corrispondenti coorti influisce direttamente sullo sviluppo e sulla competitività del paese nel suo complesso. Gli indicatori che riguardano la fascia in età 30-34 anni sono, quindi, particolarmente informativi sul destino di un paese e sulla capacità di far fronte alle sfide del proprio tempo.

Una misura delle difficoltà che le nuove generazioni incontrano ha come riscontro il livello del tasso di NEET, che indica la percentuale di giovani fuori dalla formazione e senza lavoro. L’Unione europea è molto preoccupata del fatto che l’incidenza di chi si trova in tale condizione risulti superiore al 10% nella fascia 15-29. L’Italia è uno dei paesi membri con livelli più elevati in tutta la fase giovanile, fin oltre i 30 anni. Sempre secondo i dati più recenti Eurostat (riferiti al 2022) nella classe 30-34 è Neet una persona su quattro contro una media Ue-27 minore a uno su sei. Tra i maschi il divario è rilevante, pari a circa 5 punti percentuali (15,5% contro 10,2%), ma sul versante femminile il gap con le coetanee europee è addirittura quasi il triplo (36,1% contro il 21,3%).

Ne deriva anche che il potenziale maggiore di miglioramento del paese sta nella convergenza della qualità della formazione e della valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni ai livelli medi europei. Con attenzione particolare alle competenze nelle materie Stem (science, technology, engineering, mathematics) e alla possibilità di armonizzare tempi di vita e di lavoro.

L’obiettivo non è solo quello di fornire occupazione ai giovani, ma anche di creare un ambiente che permetta loro di realizzare appieno il loro potenziale e di contribuire in modo significativo alla crescita e al benessere della società nel suo complesso. Questo richiede un cambio di prospettiva: non considerare i giovani solo come destinatari di politiche di occupazione, ma come veri e propri attori del cambiamento e della trasformazione sociale ed economica. Al di là dei livelli attuali di disoccupazione e sottoccupazione, infatti, quello che pesa sui giovani è soprattutto il non sentirsi inseriti in processi di crescita individuali e collettivi, ovvero inclusi in un percorso che nel tempo consenta di dimostrare quanto si vale e di veder riconosciuto pienamente il proprio impegno e il proprio valore (indipendentemente dal genere, dalla famiglia e dal territorio di provenienza).

 

Paradossalmente proprio la debolezza demografica delle nuove generazioni può favorire un’attenzione maggiore a ciò che esse sono portate a dare e desiderano essere anziché doversi meramente adattare (spesso al ribasso) a quello che ci si aspetta da loro

 

L’unica possibilità, del resto, per l’Italia di superare i limiti del passato e avviare una fase nuova di sviluppo sulla spinta delle risorse di Next Generation Eu, è quella di portare il sistema paese a riallinearsi al rialzo al meglio del contributo che le nuove generazioni possono dare in coerenza con le loro specificità (riconoscendone fragilità e potenzialità).

Più in generale, formare bene i giovani, inserirli in modo efficiente nel mondo del lavoro, valorizzarne al meglio il contributo qualificato nelle aziende e nelle organizzazioni, consente di rispondere alla riduzione quantitativa dei nuovi entranti con un rafforzamento qualitativo della loro presenza nei processi che alimentano sviluppo economico, innovazione sociale, competitività internazionale. Frenerebbe, inoltre, la loro fuga verso l’estero e li metterebbe anche nelle condizioni di realizzare in modo più solido il loro progetti di vita, con conseguenze positive sulla formazione di nuovi nuclei familiari e sulla natalità.

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Foto di MD Mamun