L’ inflazione è sempre stata definita, da quando esiste quella disciplina scientifica chiamata “economia” – sia essa “classica” oppure ”neoclassica”- , come l’ aumento della quantità di moneta circolante scaturito dall’incremento dei salari in misura superiore agli andamenti della produttività delle imprese in cui i salariati prestano la loro opera, partecipando così al processo di valorizzazione del capitale.

La soluzione individuata per abbattere tale inflazione consiste nell’abbassare i salari, diminuendo così la moneta circolante e determinando una caduta dei prezzi così da consentire una ripresa del tasso dei profitti e quindi della continuità delle imprese.

Ma con la creazione delle banche centrali che detengono il monopolio dell’emissione di moneta si può agire per altra via, ossia aumentando il costo del denaro circolante tra le banche e tra le banche e i cittadini che usano la moneta per perseguire le loro volizioni: dal consumo quotidiano all’acquisizione della proprietà della casa tramite mutui oppure, ad esempio, la proprietà di beni il cui acquisto viene consentito da contratti di prestito.

Se il costo del denaro sale diviene più difficile raggiungere questi obiettivi, sia il consumo di beni che l’acquisizione della proprietà.

È assai comune che conseguenza di tutto ciò sia la diminuzione del saggio di profitto delle imprese, con la crisi di quest’ultime sino al loro fallimento.

Se ciò avviene per un tempo lungo – convenzionalmente misurato in diverse forme – ecco giungere la recessione. Oggi quella che è in atto nel mondo non è l’inflazione classica determinata dai salari, prima stilizzata.

La pandemia prima e la guerra imperialista russa contro l’Ucraina hanno indotto il blocco, in forme diverse ma simili nei risultati, delle catene logistiche di beni alimentari e di beni energetici strategici ingenerando una inflazione da carenza di offerta e non – quindi – da eccesso di quantità di moneta.

Si tratta di un fenomeno simile – per esiti e non per cause – alla cosiddetta crisi petrolifera degli anni settanta del Novecento, quando le monarchie del Golfo restrinsero la produzione e l’offerta di petrolio causandone l’aumento del prezzo: crisi da monopsonio ossia da monopolio dell’offerta che rende alto i prezzi dei beni di cui si produce scarsità.

 

Orbene, perché tutta questa filastrocca? Ma perché si dimostra così che abbiamo avuto ragione ad intitolare il nostro magazine Spirito Artigiano: volevamo e vogliamo sottolineare che è la cultura, è la spiritualità a guidare il mondo e, quindi, anche l’economia.

 

Purtroppo i Governatori delle banche centrali di cultura di spiritualità difettano paurosamente: pensavano che una manovra monetaristica, ossia agendo con l’innalzamento dei tassi ed in tal modo con l’aumento del costo del denaro, si potesse domare l’inflazione .

I salari in tutto il mondo non fanno che scendere e l’ aumento dei prezzi è determinato dalle cause esterne alla circolazione del capitale prima richiamato.

Certo la centralità di quei beni si riverbera su diverse catene dipendenti dai rifornimenti delle materie prime, ma il rimedio è peggiore del male: crisi di cultura dunque che implica crisi dello Spirito. Crisi epocale e morale.

Le Virtù Artigiane resisteranno anche a questa prova.