(di Davide Tabarelli) Una cosa risulta chiara dal 24 febbraio 2022, data che entrerà nella storia, l’energia è sempre importante e la sua dimensione strategica è tutt’altro che superata. Sono passati 80 anni, ma viene sempre a mente che se Hitler avesse superato Stalingrado, oggi Volgograd,  a 400 chilometri a est del Dombass, la guerra sarebbe durata più a lungo, perché avrebbe avuto strada facile fino a Baku, sul Mar Caspio, dove le riserve di petrolio gli avrebbero dato la benzina che gli mancava per i suoi carrarmati e per i suoi aerei. 

Oggi, la Germania, la quarta economia del mondo, il cuore d’Europa, si scopre ancora vulnerabile sotto il profilo energetico e, nonostante tutte le pressioni interne politiche, non può fare sanzioni dure contro la Russia, perché non può fare a meno del suo gas. Noi italiani, come in un’asse, ci mettiamo dietro e lasciamo andare avanti i tedeschi a dire che è troppo costoso fare un embargo immediato sulle importazioni di gas dalla Russia.

 

La Germania nel 2021 ha importato 57 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia e ne ha consumati 70, con un peso dell’80%, mentre l’Italia ne ha importati 29 su un consumo totale di 76 miliardi, con un peso del 38%. Sul bilancio complessivo della Germania, però, il gas conta per il 25%, mentre da noi arriva al 40%.

L’aspetto che rende maggiore la nostra debolezza è che metà della produzione elettrica da noi si fa con il gas, mentre in Germania conta per il 10%, grazie al fatto che il loro sistema elettrico è ancora pesantemente dipendente dal carbone, che conta per il 30%, quasi tutto prodotto all’interno. Fra l’altro spesso si tratta di lignite, qualità che inquina ancora di più del carbone normale. Nel 2020, complice anche il rallentamento dei consumi e della produzione, il calo dei consumi di carbone ad una quota del 20% nella produzione elettrica era stato salutato con entusiasmo quale conferma del successo delle politiche energetiche della Germania tutte orientate verso la decarbonizzazione. 

Poi è arrivata la crisi gas e la guerra e la cosa più veloce da fare è stata ricorrere alla sua fonte domestica, il carbone, quella che da tre secoli segna la storia economica del paese e che, in base ai programmi, rafforzati dall’ultimo governo con forte trazione verde insediatosi nel dicembre 2021, dovrebbe abbandonare nel 2038. Grazie alla sua produzione interna, per questo la Germania ha dato via libera alla decisione, di inizio marzo 2022, di fare embargo sulle importazioni di carbone dalla Russia.

 

L’Italia, invece, la sua fonte energetica domestica, fra l’altro quella più pulita, il gas, non lo riesce a sfruttare, perché la produzione, nonostante l’aumento dei prezzi di 5 volte e le minacce di interruzione dalla Russia, è su un declino strutturale che è impossibile invertire.

 

La produzione nel 2021 è crollata a 3 miliardi di metri cubi, il minimo dal 1954, quando l’Ente nazionale Idrocarburi era stato da poco istituito per dare un aiuto, con il metano, alla ricostruzione di un paese distrutto. Il picco di produzione era stato raggiunto nel 1994 a 21 miliardi di metri cubi, soglia che potrebbe essere facilmente raggiunta anche oggi grazie alle abbondanti riserve e a nuove tecnologie di produzione. Nei primi tre mesi del 2022, invece e nonostante i grandi proclami, continua a scendere a ritmi del meno 10%. Mentre con affanno cerchiamo di capire cosa sta succedendo, la definizione di una strategia per affrontare la crisi è ancora lontana e il fallimento sulla produzione nazionale di gas la dice lunga sulle debolezze dell’Italia.