“Si era soliti affermare che l’Italia da Paese di emigrazione si è trasformato negli anni in Paese di immigrazione: questa frase non è mai stata vera e, a maggior ragione, non lo è adesso perché smentita dai dati e dai fatti.  Dall’Italia non si è mai smesso di partire e negli ultimi difficili anni di limitazione negli spostamenti a causa della pandemia, di recessione economica e sociale, di permanenza di una legge nazionale per l’immigrazione sorda alle necessità del tessuto lavorativo e sociodemografico italiano, la comunità dei cittadini italiani ufficialmente iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) ha superato la popolazione di stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale. (…) l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni) (…)”.

Il ‘Rapporto Italiani nel Mondo 2022 [1]’ della Fondazione Migrantes conferma una tendenza quanto mai allarmante, tanto più se si considera che i giovani  rappresentano la quota più consistente tra coloro che decidono di espatriare.

Il nostro Paese, infatti, in anni di politiche miopi ha conquistato un triste primato: è il primo al mondo in cui i residenti over 65 hanno superato la quota dei quindicenni, e nel 2035-2040 risulteranno in numero maggiore anche degli under 15.

E’ un fenomeno epocale che evidenzia come in Italia il problema della decrescita demografica sia fortemente aggravata dal divario generazionale, cioè da uno squilibrio nella composizione della popolazione per classi di età.

Come indicato dal professor Alessandro Rosina nel secondo quaderno della Fondazione Germozzi di prossima pubblicazione  “Per capire se una economia avanzata sta andando nella direzione giusta, gli indicatori più informativi sono proprio quelli che riguardano la condizione dei giovani, quelli che misurano il miglioramento della loro capacità di essere e fare. Indicatori che bocciano nettamente il nostro Paese e dati che rivelano una triste verità: quella di aver trasformato i membri delle nuove generazioni in uno ‘svantaggio competitivo’ per lo sviluppo dell’Italia.”

Una condizione di svantaggio alla quale i giovani rispondono lasciando l’Italia,  alla ricerca di migliori fortune in altri Paesi, europei e non.

Per fare il punto della situazione, basta dire che a fine 2021 il flusso delle cancellazioni anagrafiche per l’estero, in aumento dal 2010, contava 900mila italiani trasferiti negli ultimi dieci anni. Si tratta in buona parte di giovani laureati, principalmente diretti verso Regno Unito, Germania e Francia, Paesi dove c’è una maggiore offerta di lavoro (sia per i giovani che per le altre fasce d’età) maggiore è  il rendimento dei titoli di studio, e dell’istruzione universitaria in particolare, e veloce la progressione retributiva.

Anche L’Ufficio Studi della Confartigianato  mette in luce questo preoccupante fenomeno quando, nel secondo quaderno della Fondazione Germozzi [2], evidenzia che “L’analisi dei dati sulle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche indica che in 10 anni sono emigrati 980 mila italiani, 2,5 volte i 400 mila rimpatri, e il bilancio è negativo di 580 mila unità: si assiste ad un fenomeno di “fuga di giovani cervelli” (brain drain) in quanto un quarto (23,6%) di chi ha lasciato il nostro Paese è laureato e la metà (51,9%) ha almeno il diploma. In particolare, tra i giovani italiani under 40 laureati gli espatri superano i rimpatri di 103 mila unità. Tra 2011 e 2020 il saldo migratorio con l’estero di questi giovani laureati è negativo e crescente e si mostra negativo in tutte le ripartizioni…”.

Perché accade tutto questo? I motivi sono molti, tutti interrelati,  e ciascuno di essi  contribuisce a denotare un problema estremamente complesso. Ma in cima a tutto c’è una cronica mancanza di volontà politica per affrontare un fenomeno che azzoppa l’Italia già da diversi anni.

Se fino  al termine del secolo scorso il calo della popolazione nel nostro Paese interessava eminentemente il meridione, negli ultimi anni è un fenomeno che tocca l’intero territorio nazionale. Tuttavia, quando guardiamo alla natura dei movimenti  demografici (soprattutto in Italia) possiamo dire che essi sono un fatto sociale, un fenomeno che i sociologi chiamerebbero un ‘dato storicamente determinato’.

Significa , insomma, che la connotazione del fenomeno è determinato da precise scelte (in questo caso) politiche.

Esistono sicuramente eventi naturali   che spingono masse di popolazione da una parte all’altra del pianeta, come nel caso dei migranti climatici, ma anche in quel caso si evidenzia un vuoto politico e decisionale   sulle azioni da intraprendere per affrontare il fenomeno.

Nella situazione italiana l’emigrazione cresce perché determinate politiche (o assenza di politiche) impongono, di fatto, la necessità di spostarsi da un luogo all’ altro per cercare condizioni di vita e di lavoro migliori. Questa è una premessa importante per capire che è un accadimento che comprende sicuramente più elementi,   ma è principalmente un evento che risponde a precise volontà o sottovalutazioni politiche e  che diventa , quindi, un evento ‘storicamente determinato’.

L’emigrazione della nostra epoca, sicuramente quella che colpisce l’Italia, non è, quindi, un fenomeno ‘naturale’ ineluttabile ed ingestibile,  ma frutto di una azione o inazione politica  che determina il fenomeno.

Alla luce di quanto detto non desta particolare scalpore quanto emerso dal Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes e dai lavori degli altri centri di ricerca.

Non è difficile immaginare quali saranno le conseguenze a livello nazionale poiché un fenomeno del genere è già in essere da almeno trent’anni nel Sud Italia dove  l’emigrazione meridionale, anche intellettuale, ha comportato  uno depauperamento sostanziale della classe media locale.

La conseguenza è una aridità sociale che determina quell’ immobilismo impermeabile a qualsiasi politica di sviluppo.

 

E’ una situazione che, per quanto grave, ha riguardato e riguarda comunque movimenti di popolazione dal  Sud al Nord Italia, sempre all’interno dello stivale, mentre la giovane emigrazione italiana avviene a livello extranazionale  e colpisce il nostro Paese nel suo complesso.  In sintesi, quello che è successo al Sud Italia (emigrazione giovanile-intellettuale e sventramento della classe media locale) sta avvenendo sul piano nazionale. Tutto a scapito dello sviluppo territoriale poiché dove mancano le persone, le competenze di qualità e la classe media, il rischio di un depauperamento sociale ed economico  è sempre dietro l’angolo.

 

[1] https://www.migrantes.it/rapporto-italiani-nel-mondo-migrantes-la-rappresentanza-e-i-comites/
[2] Lavoro di prossima pubblicazione che sarà visibile su www.spiritoartigiano.it

 

Foto di Victor Freitas