La fede è come l’“animula” di cui parla T.S. Eliot nella sua poesia Il sermone del fuoco: “Esce di mano a Dio, l’anima semplicetta” e s’insinua in ogni anfratto del mondo, nelle opere dell’uomo e nella sua storia. Come la fede, la fede che non è astratta liturgia, ma forza viva e concreta, che si insinua anch’essa in ogni angolo nascosto delle nostre case, delle nostre officine, nei nostri studi, in ogni segreto che pensiamo di nascondere ai nostri cuori perché ci pare troppo audace o non puro: in ogni aspetto del nostro lavoro.

 

“La fede vive nella nostra attività di ogni giorno e s’incarna nell’agire quotidiano, passa per i nostri corpi come per le nostre anime e s’incarna nelle cose che ci circondano, tanto più se sono prodotte dalla nostra attività mentale e fisica”

 

Di qui il riferimento del Santo Padre all’agire con le mani, con gli occhi, con i piedi: con tutto il nostro essere, tutte le nostre facoltà. Ecco la santificazione del lavoro di cui con così elevata e penetrante spiritualità ci parlava la grande Simone Weill: “La nostra epoca ha… per vocazione la costituzione di una civiltà fondata sulla spiritualità del lavoro… capace di costituire il grado più elevato di radicamento dell’uomo nell’universo“.

Ed è a questo compito che ci chiama il Santo Padre. Per esemplificare questo concetto ho sempre evocato la mano di Dio che tocca -nel Suo disvelarsi- la mano dell’uomo nell’affresco michelangiolesco della Cappella Sistina.

 

“Dio tocca la mano dell’uomo e nel farlo lo salvifica e insegna a tutti e a tutto che corpo e anima sono indissolubilmente uniti”

 

Mi pare questo il messaggio profondo del discorso che il Santo Padre ha voluto donarci nell’udienza concessa a Confartigianato. È il riferimento a una umanità che pensa e che crea nella vita in cui si dispiegano i misteri dell’essere del divino del mondo.

La citazione del Libro di Geremia è esemplare a questo riguardo. Il Signore, dinanzi al prostrarsi di Geremia nella Sua finitezza, lo solleva e gli promette: “…Autorità […] per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare” (Ger 1,10). A Geremia viene offerta così la possibilità di superare quello che lui avverte come una mancanza: “Non so parlare”, dice. Parlerà, invece, e parlerà davanti a popoli che prima neanche conosceva, parlerà a persone più grandi di lui, per età, ruolo e prestigio.

Come ci ha ricordato Enzo Bianchi in un commento indimenticabile: ”Entrerà in un dialogo assiduo con il Signore, e in questo dialogo lui stesso crescerà; da questa intimità prolungata nel tempo imparerà a esprimersi, acquisirà lucidità nel discernere le situazioni e autorità nel parlare con pertinenza di ciò che gli sta di fronte…. Reso sensibile all’azione e alla presenza di Dio in un mondo pieno di conflitti, di inganno e di dolore, troverà consolazione e la capacità di donarla agli altri”.

E’ questa l’ispirazione ch’io ho tratto dalla lettura del bellissimo discorso di Papa Francesco: un’ispirazione che vorrò sempre portare con me.

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