L’alimentare si conferma il settore anticiclico per eccellenza nell’attuale, e prolungata, crisi del commercio internazionale. Il dinamismo della domanda estera sostiene la produzione mentre sul mercato interno si diffonde l’acquisto di prodotti biologici e a chilometro zero. Il sistema agroalimentare rappresenta la filiera con la più elevata articolazione della catena del valore. Nella filiera più di una impresa su tre condiziona la qualità dell’offerta. Nei territori con una più marcata vocazione artigiana nella filiera agroalimentare l’export registra un maggiore dinamismo.
Le previsioni di primavera della Commissione europea indicano una crescita del 2,6% del volume del commercio mondiale di beni, dopo la stagnazione (-0,3%) del 2023. Con il recupero della domanda internazionale, è previsto un aumento del 2,0% del volume delle esportazioni di beni dell’Italia, in miglioramento rispetto al più prudente +0,5% stimato ad aprile dal Fondo monetario internazionale.
Ma l’analisi dei dati statistici disponibili indica che questa ripresa è in ritardo. Nei primi quattro mesi del 2024 il volume dell’export dell’Italia risulta ancora in discesa dell’1,2% su base annua, equivalente ad un ristagno (+0,3%) in valore. Una buona notizia per il made in Italy arriva dalla robusta crescita del mese di aprile (+10,7% su base annua).
In un contesto di domanda estera ancora debole, si registra una resilienza del settore dell’alimentare e bevande, che nei primi quattro mesi del 2024 segna un aumento dell’export del 10,4% su base annua.
Il comparto dell’alimentare e bevande è l’unico tra i settori non energetici a registrare un aumento della produzione nei primi quattro mesi dell’anno, confermando il carattere anti ciclico in una fase congiunturale che rimane difficile per la manifattura italiana
Tra le 28 filiere censite dall’Istat, la filiera agroalimentare – in cui sono comprese le imprese con attività di produzione di materie prime, semilavorati, prodotti finiti, macchinari a uso specifico della filiera e che offrono servizi quali trasporto e logistica, ristorazione, consulenza, R&S, marketing e altro – è quella più rilevante addensando il 20% delle imprese con 3 addetti ed oltre e il 17,2% del valore aggiunto del totale delle imprese, pari a 130,9 miliardi di euro. La rilevanza economica della filiera si amplia se consideriamo anche i comparti dell’agricoltura e della pesca, non compresi nell’universo di riferimento delle filiere perimetrato dall’Istat, con il valore aggiunto che sale a 165,5 miliardi di euro, pari al 20,8% del totale comprensivo del settore primario.
In chiave settoriale i primi dieci settori comprendono circa il 90% delle imprese della filiera. Nel dettaglio si tratta dei servizi di ristorazione con 74mila imprese (36% del totale della filiera), commercio al dettaglio con 40mila imprese (19,8%), alimentare con 25mila imprese (12,3%), commercio all’ingrosso con 24mila imprese (11,7%), alloggio con 5mila imprese (2,6%), prodotti in metallo (esclusi macchinari e attrezzature) con 4mila imprese (2,1%), trasporto terrestre con 3mila imprese (1,7%), macchinari ed apparecchiature con 3mila imprese (1,6%), lavori di costruzione specializzati con 2mila imprese (0,9%) e bevande con 2mila imprese (0,8%).
Nella filiera dominano le 200mila imprese di micro e piccola dimensione, pari al 97,6% delle imprese dell’intera filiera, mentre solo il 2,4% sono imprese medio grandi. La filiera agroalimentare è la terza in Italia, dopo le filiere di edilizia e del turismo e tempo libero, per peso delle micro e piccole imprese.
La filiera vive e si sviluppa con le relazioni tra imprese, in primis quelle di subfornitura. Nel comparto alimentare circa un terzo delle imprese ha relazioni di acquisto e fornitura sulla base di specifiche tecniche e progetti dell’acquirente.
Nel comparto alimentare e bevande sono attive 32mila imprese artigiane che rappresentano i due terzi (61,0%) delle imprese del settore e danno lavoro a 142mila addetti.
L’interazione delle imprese artigiane nella filiera fornisce un impulso decisivo alla qualità della produzione: nella filiera agroalimentare il 36,3% delle imprese fornitrici è in grado di condizionare la qualità del prodotto
L’apporto qualitativo dell’artigianato nella filiera agroalimentare sostiene un maggiore dinamismo delle vendite all’estero. Nel primo trimestre del 2024, nei territori provinciali dove si registra una maggiore presenza di imprese artigiane – con l’occupazione dell’artigianato superiore al 40% del comparto alimentare – le esportazioni di prodotti alimentari salgono del 19,0% mentre nei restanti territori segnano un aumento del 6,3%. All’abbinamento tra un maggiore dinamismo dell’export e l’alta presenza dell’ artigianato contribuiscono territori prevalentemente localizzati nel Centro-sud, quali le province di Bari, Perugia, Lucca, Chieti, Grosseto, Siena, Genova, Rimini, Potenza, Reggio di Calabria e Catania, nelle quali la quota dell’artigianato alimentare supera il 50%.
Nel complesso, l’export dei prodotti riferibili alla filiera agroalimentare ammonta a 73,5 miliardi di euro, di cui 41,7 miliardi di prodotti alimentari (56,7% dell’export di filiera), 11,8 miliardi di bevande (16,0%) 10,6 miliardi di macchinari (14,4%) – trattori, altre macchine per l’agricoltura, la silvicoltura e la zootecnia, macchine per il settore alimentare e delle bevande – 8,2 miliardi di prodotti agricoli (11,2%), 0,9 miliardi di agrofarmaci e altri prodotti chimici per l’agricoltura.
Infine, va sottolineato che il sistema agroalimentare italiano presenta una deciso carattere glocal, associando una elevata penetrazione sui mercati esteri ad una domanda interna con una elevata propensione all’acquisto di prodotti a chilometri zero. L’analisi dei dati dell’Istat sull’orientamento ambientale dei cittadini evidenzia che nel 2023 in Italia vi sono 12,1 milioni di consumatori che acquistano prodotti a chilometri zero, che rappresentano il 23,5% della popolazione di 14 anni ed oltre. Un livello analogo di diffusione (23,5%) si riscontra anche per la propensione ad acquistare prodotti biologici, delineando un ulteriore carattere di sostenibilità dell’offerta delle imprese della filiera agroalimentare italiana.
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Enrico Quintavalle
Enrico Quintavalle è nato a Padova nel 1960, laureato in economia e commercio all’Università Cà Foscari di Venezia, è responsabile dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese e Direttore scientifico degli Osservatori in rete del sistema Confartigianato. Autore di numerosi articoli e rapporti su economia d’impresa, politica economica, finanza pubblica ed economia energetica. Con Giulio Sapelli ha scritto ‘Nulla è come prima’, Milano, 2019 Guerini e Associati. Dal 2009 cura una rubrica settimanale su QE-Quotidiano Energia.