Le recenti alluvioni in Romagna, e in parte dell’Emilia, sono il settantatresimo evento estremo che dall’inizio dell’anno ha colpito il territorio nazionale. Secondo un recente report di Legambiente dall’inizio 2023 in Italia gli eventi climatici estremi sono aumentati del 135% rispetto a quelli di inizio 2022.

Gli elementi della crisi climatica in Italia

Il rincorrersi e il ripetersi di periodi di siccità e di precipitazioni intense è ormai la nuova normalità con la quale dobbiamo imparare a convivere, la manifestazione più evidente della crisi climatica che stiamo vivendo. Le conseguenze sono incendi boschivi, alluvioni ed esondazioni che mandano sott’acqua città e campagne. Fenomeni che aumentano esponenzialmente il rischio idrogeologico, con frane e fenomeni di dissesto particolarmente intensi nelle aree montane e alto collinari dove le conseguenze e gli impatti della crisi climatica si fanno avvertire prima e più intensamente. Si comprende meglio a quali rischi è esposto il nostro Paese se consideriamo che le montagne sono riconosciute internazionalmente come uno dei principali hotspot climatici e che secondo la classificazione Eurostat coprono ben il 66% della superficie nazionale, il doppio della media Ue (32,6%), a grande distanza da Francia (20,6%) e Germania (11,8%). Solo solo in due regioni (Veneto e Puglia) la superficie pianeggiante supera la metà del totale, in 10 la pianura rappresenta meno del 10% del territorio, 7 di queste non hanno superficie pianeggiante e la metà ha almeno il 40% della superficie montana. Rischi aggravati dal fatto che non solo le montagne ma anche l’intero bacino del Mediterraneo è considerato un hotspot climatico a causa dell’innalzamento delle temperature del mare che alimenta l’energia e la portata dei fenomeni atmosferici. E l’Italia paese prevalentemente montuoso è al centro del Mediterraneo che, come ci ricorda Fernand Braudel il suo più importante storico contemporaneo, è un mare tra terre prevalentemente montane. Considerando inoltre che larghissima parte dei sistemi insediativi più densamente abitati e più intensamente urbanizzati sono limitrofi, prossimi, relazionati e spesso interstiziali alle catene alpina, appenninica e insulari, si comprende meglio i rischi ai quali il nostro Paese è esposto.

Montagna: dalla centralità geografica alla centralità politica

Per questo è urgente che dalla sperabilmente raggiunta consapevolezza della “centralità geografica” della montagna si passi al riconoscimento della sua “centralità politica”; di assumerla come la frontiera avanzata delle sfide della nostra contemporaneità, dal contrasto alla crisi climatica alla necessità, evidenziata dalla pandemia, di costruire migliori equilibri territoriali e sociali. È oggi possibile dar vita ad un grande programma economico centrato sull’economia circolare, e sulle nascenti filiere della bioeconomia, basato sull’incentivazione e la diffusione di produzioni per realizzare le quali vengono forniti servizi ecosistemici (aria, acqua, protezione dei suoli, habitat floristici e faunistici, spazi ricreativi, sportivi e culturali) allo stesso tempo capaci di adattamento/mitigazione verso e contro la crisi climatica. A partire da una gestione innovativa del patrimonio forestale – che interessa ben il 37% del territorio nazionale, prevalentemente montano di cui è la principale destinazione d’uso – per renderlo più protettivo e più produttivo dando così vita ad una filiera italiana del bosco, delle foreste, del legno arredo e delle costruzioni. Dove il protettivo – attraverso strategie di tutela, conservazione e manutenzione che riducono i rischi da incendi e da dissesti idrogeologici – risponde alle esigenze di adattamento e il produttivo – favorendo l’utilizzo del legno nella produzione di beni d’uso e nell’industria delle costruzioni – contribuisce a stoccare la Co2 assorbita dagli alberi durante la loro crescita. Una prospettiva promettente per il nostro Paese che è il quarto in Europa per costruzioni in legno e il terzo nel mondo nell’arredo legno importandone però dall’estero ben l’80%. Così come per le produzioni agroalimentari di qualità – in particolare tipiche e biologiche, la cui offerta è già oggi inferiore ad una domanda che è destinata a crescere – che attraverso i prati pascoli contribuiscono all’assorbimento di Co2 e al mantenimento della biodiversità, anche in considerazione che le attività agrosilvopastorali rappresentano la seconda utilizzazione del suolo montano. Oggi ci sono tutte le condizioni per tornare a guardare con occhi contemporanei alla montagna come spazio di produzione e non solo di fruizione, basti pensare alle opportunità che il digitale rappresenta per le tante imprese manifatturiere, soprattutto artigiane che sono un vero e proprio presidio civico e sociale contro lo spopolamento e l’evaporazione delle comunità, e per ripensare e innovare i servizi territoriali fondamentali per una montagna sicura perché abitata e curata.

Foto di Valdemaras D.