Negli ultimi anni tutti, cittadini e imprese (ancor di più PMI), abbiamo dovuto affrontare sfide senza precedenti: cambiamenti geopolitici, climatici e tecnologici.
Non è solo una partita italiana: il 99,8% del tessuto imprenditoriale dell’Unione Europea è composto da imprese micro e piccole, le quali contribuiscono al 64,4% dei posti di lavoro e al 52% del valore aggiunto europeo. La responsabilità dello sviluppo economico dei prossimi mesi e anni è quindi ancora sulle spalle delle PMI, e la loro sfida sembra essere sempre più insormontabile: il contesto attuale è attanagliato dall’instabilità e dall’urgenza. La prima derivante dai turbolenti scenari geopolitici, la seconda dalla costante fatica dello stare al passo di competizioni che hanno iniziato a giocarsi su piani diversi, come quello tecnologico (in particolar modo AI generativa) e ecologico/ambientale. Tuttavia, il contesto attuale impone nuove sfide: la guerra in Ucraina, la transizione ecologica e digitale, e l’incremento della concorrenza globale richiedono un ripensamento delle strategie imprenditoriali e politiche europee. In momenti così, è utile tenere a bada alcune tentazioni, che le politiche economiche rischiano di assecondare quando si concentrano su tattiche difensive in direzione austerity piuttosto che su incentivi alla crescita. L’Europa ha dimostrato di poter sostenere la sfida e accollarsi la responsabilità: la reazione alla recente crisi, in alcuni tratti decisivi, è stata pressoché unitaria. Il programma Next Generation EU è una delle ambiziose direzioni di integrazione economica, che tiene insieme sguardo al futuro, orientamento alla crescita, concretezza della proposta.
*Regolamentazione o burocrazia: la posta in gioco è metodologica
I benefici che il mercato unico Europeo apporta, nelle sue varie forme, sono ancora inafferrabili per la maggior parte delle imprese. Un po’ perché alcuni vincoli strutturali ne impediscono il totale utilizzo (si veda la frammentazione normativa e fiscale accentuata), un po’ perché le imprese sentono prima l’urgenza di doversi difendere dal nemico burocratico interno che, nel caso italiano, sembra ancora poco organizzato per poter accogliere gli adempimenti di compliance a un livello transnazionale.
Questa capacità di “scalare un livello” e assorbire fin da subito la centralizzazione degli adempimenti normativi e fiscali rimane a beneficio di strutture multinazionali, contribuendo quindi ad aumentare il divario nelle opportunità di partenza per competere adeguatamente con imprese e su mercati globali, in particolare con Cina e Stati Uniti. Vincere la sfida della burocrazia, sia nel suo alleggerimento sia nella sua dimensione eurocentrica è quindi la priorità per poter innescare un meccanismo virtuoso a beneficio di tutti i soggetti economici.
Lo stesso Next Generation EU ha posto delle sfide, soprattutto a Paesi come l’Italia, da giocarsi sul piano della reale “esecutività” degli investimenti, che sono ostacolati o rallentati dall’impianto burocratico nazionale. L’Italia è stata uno dei principali beneficiari del piano, avendo ottenuto oltre 113 miliardi di euro, accompagnati da una richiesta serrata nella tabella di marcia d’attuazione dei progetti. Abbiamo faticato a seguirne il passo. Queste difficoltà d’implementazione non devono però consentirci di desistere, a livello Europeo, nell’utilizzo di un metodo di governance basato su performance e risultati attuativi, tipico del PNRR, che ha prodotto degli importanti benefici: in primo luogo erogazioni più mirate e un monitoraggio più misurabile nel breve periodo; in secondo luogo la velocità di reazione delle istituzioni europee e in terzo luogo, ma non meno centrale, il coinvolgimento attivo degli Stati membri per migliorare la governance locale.
In questo senso, il volume di investimenti in Europa sia comparabile a quello degli Stati Uniti, ma con una minore propensione all’innovazione radicale. Ha suggerito la creazione di un mercato europeo dei capitali più integrato, per canalizzare investimenti verso le PMI innovative.
*Migliorare la competitività è un destino e ci sono tre divari da colmare
L’Europa si trova oggi a dover affrontare tre divari che giocano un ruolo decisivo nel mantenimento della propria competitività globale:
- Divario di visione: la necessità di una visione più coesa e ambiziosa, capace di integrare le politiche industriali e fiscali dei vari Stati membri.
- Divario di investimenti: l’Europa deve mobilitare più capitali privati per affiancare gli investimenti pubblici nella transizione ecologica e digitale.
- Divario di attuazione: la difficoltà nel tradurre le strategie in progetti concreti e nella loro esecuzione efficace sul territorio.
La capacità di attuare politiche di coesione e di creare un ambiente favorevole agli investimenti privati sarà determinante per il successo delle politiche europee nei prossimi anni.
*Giocare in attacco perché le piccole imprese possono farlo (attrezzandosi)
Siamo sempre di più di fronte alla necessità di un maggiore coordinamento tra politiche europee e nazionali per ridurre le frammentazioni. A questo fa seguito il rafforzamento della cooperazione tra pubblico e privato, capace di garantire investimenti sostenibili e a lungo termine. Non da ultimo è fondamentale un focus maggiore sulla doppia transizione green e digitale che sta impattando sui sistemi organizzativi europei, come leva per la crescita futura delle PMI.
Intervenuto su questi temi in un evento di Confartigianato, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha sottolineato come le PMI abbiano bisogno di politiche industriali a misura di impresa, che favoriscano accesso al credito, con misure che incentivino il finanziamento per le piccole imprese, senza eccessivi vincoli burocratici, la riduzione del costo del lavoro, attraverso misure di decontribuzione e incentivi fiscali mirati e l’internazionalizzazione, con programmi di supporto all’export e all’apertura verso nuovi mercati strategici.
*Le scelte da compiere
Per gli imprenditori italiani il messaggio è chiaro: occorre sfruttare le opportunità offerte dall’Europa, puntando su innovazione di prodotto e di mercati per affrontare con successo le sfide del futuro.
Recentemente, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha affermato, a questo proposito,: “non c’è una possibilità che gli stampi del passato funzionino in futuro” e se noi europei vogliamo continuare a costruire il “miglior posto al mondo dove vivere” (Carlos Cuerpo Ministro dell’Economia Spagnolo a Cernobbio i primi di settembre) rifiutando l’ipotesi 3D di cui molti parlano e paventano (Disordine, Destino, Declino), dobbiamo giocare la partita del futuro in attacco.
Una parte importante della partita da giocare in attacco è costituita dallo sviluppo costante delle competenze necessarie per primeggiare.
Le competenze hanno radici nelle storie e nelle tradizioni territoriali ed operative, ma diventano fattori competitivi solo se si alimentano di innovazione e costante allenamento. Dunque, gli investimenti in questa direzione (recupero della tradizione operativa e investimenti in una formazione che abbracci innovazione di contenuti e di metodi) non possono mancare e saranno la leva per il successo futuro.
La differenza tra riuscire e fallire si misurerà sulla capacità di pensiero e di azione. Sul fronte del pensiero la sfida è riconoscere che ci si muove dentro un mercato globale: innovare sul fronte dell’internazionalizzazione e dell’aggiornamento tecnologico non sono più opzioni strategiche, ma condizioni senza le quali non si può sostenere neppure il carico delle attuali quote di mercato di ciascuna impresa. Sul fronte dell’azione vuol dire coraggio. Coraggio circa gli investimenti in sostenibilità, managerializzazione e innovazione, ma anche nelle scelte che verranno fatte per percorrere nuovi settori strategici e, contemporaneamente per affrontare le trasformazioni senza tradire la propria storia e la propria identità.
Non sta a noi qui dire quale debba essere lo stile adatto per riuscire in questi intenti, ma certo potremmo cominciare tutti ad esprimere grande determinazione tenendo contemporaneamente bassi i toni e distribuendo dolcezza tutto attorno a noi.
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Marco Grazioli
Di formazione sociologica, studia in particolare come trasformare i comportamenti delle Persone in risultati di business attraverso le leve organizzative e la gestione del Personale. Un’ulteriore area di consolidata esperienza è quella della gestione di negoziazioni complesse, in diversi contesti e settori.
Attualmente insegna Processi Decisionali e Negoziali nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È stato Ricercatore presso l’Università Statale di Milano (Cattedra di Sociologia Politica).
È autore di numerose pubblicazioni, tra le quali il libro “Come si decide in azienda” (Fendac Servizi, con Paolo Donati), i saggi sulla mobilitazione di gruppo e sulla relazione tra giovani e organizzazione (in Altri Codici, Il Mulino), il capitolo “La formazione” nel volume “L’azienda del futuro” (Il Sole 24 Ore) e i libri: “Cambiamenti – Azione collettiva e intrecci organizzativi in un’epoca di crisi” (Rubbettino Editore, 2012) e “Creare governare e dirigere“ (Alinari 2015, con Carlo Adelio Galimberti); “Il lavoro non ha età – Stili vocazionali e leadership in azione” (Guerini Next 2020, Eva Giudicatti – Introduzione e contributi di Marco Grazioli).