C’è un’idea nel turismo che è ripetuta da sempre, ma del cui valore reale non si è proprio certi. Si pensa che l’indicatore fondamentale nel settore sia di aumentare il numero dei turisti; ma questa è una strada semplicistica, quasi illusoria di misurare l’impatto economico di questo settore. Guardare solo alle quantità, senza considerare il loro valore, serve a poco. Il calcolo della ricchezza di ogni ambito dell’economia si fa moltiplicando le quantità prodotte per il loro prezzo. Ricordiamo le economie pianificate dei regimi ex-sovietici, dove venivano conteggiate le quantità prodotte (ad esempio, il numero di automobili) moltiplicate per i prezzi fasulli fissati per legge. Avevamo un sacco di automobili prodotte, ma poca o nulla ricchezza creata. Nel turismo ci si dimentica di questa verità: bisogna considerare il valore economico dell’economia dell’ospitalità, non semplicemente “accontentarsi” di misurare, quando va bene, le sole presenze turistiche.

 

Lo studio di Sociometrica, mostra chiaramente come in Italia si stiano delineando, con sempre maggiore distinzione, due modelli di crescita turistica: uno fondato sugli alberghi e l’altro fondato sugli affitti brevi, cioè delle normali residenze affittate ai turisti. Ci sono da un lato destinazioni come Rimini, Jesolo e altre ancora, soprattutto nella parte nord del paese, dove il modello alberghiero prevale in maniera netta e l’impatto economico è notevolissimo; dall’altro, soprattutto fra le destinazioni turistiche balneari di Puglia, Campania e Calabria, prevale l’offerta di abitazioni per affitti brevi e l’impatto sull’economia locale è modesto. Per le grandi città d’arte siamo in una situazione mediana, perché si stima che le presenze non registrate, quelle solitamente indirizzate verso gli affitti brevi, rappresentano circa il 30%. In sostanza, il turismo presenta due modelli che si vanno divaricando, con conseguenze importanti sul piano economico e sull’assetto delle città coinvolte.

Nel report di Sociometrica l’impatto economico del turismo è calcolato non solo sulla base delle statistiche ufficiali, ma per avere un quadro esaustivo del valore economico del fenomeno, si comprende anche la stima delle presenze turistiche non registrate, quelle che solitamente vengono distribuite attraverso le piattaforme digitali. Una volta compreso l’ordine di grandezza di questa parte del mercato, che è stimato nel 23,6% del totale delle presenze turistiche, si è potuto valutare l’impatto economico.

Il risultato più importante, e per certi versi clamoroso, è che c’è una grande differenza nell’impatto economico e nella creazione di ricchezza collettiva tra le due forme di soggiorno: mentre le presenze non registrate rappresentano appunto il 23,6% dei flussi turistici, rappresentano solo l’11,9% dei consumi turistici e di conseguenza una analoga percentuale nella creazione di ricchezza e di occupazione. L’economia generata dalle presenze non registrate copre un valore complessivo che riesce a finanziare 137mila posti di lavoro (nel complesso dell’economia locale), mentre l’economia fondata sulle presenze alberghiere riesce a generare oltre un milione di occupati (sempre considerando il complesso dell’economia).

La distribuzione proporzionale tra presenze ufficiali e presenze non registrate non è omogenea nel territorio nazionale, ma denota enormi differenze tra destinazioni che arrivano ad avere quasi il 70% delle presenze nella parte non registrata, a molte altre dove queste ultime stanno sotto al 10%. Il punto non è però la disomogeneità in sé, ma la loro enorme conseguenza economica. Ci troviamo, anzi, di fronte a due modelli di crescita del turismo fondati sulla diversa tipologia dell’alloggio: il primo modello ha il driver nella maggiore presenza alberghiera e il secondo è guidato, al contrario, dall’offerta delle seconde case. I due modelli, anche al di là della registrazione o meno delle presenze, hanno conseguenze sulla produzione di ricchezza molto diverse. Quando il fenomeno turistico è guidato dagli alberghi, la destinazione ha bisogno di una maggiore complessità organizzativa, e ha perciò la necessità di generare più figure professionali, un ventaglio più ampio di servizi offerti e produce di conseguenza una maggiore capacità di coinvolgere altri settori, oltre a quelli direttamente legati all’economia dell’ospitalità.

 

“Le destinazioni più capaci di generare valore aggiunto (vale a dire ricchezza collettiva) hanno una bassissima componente di presenze turistiche legate alle seconde residenze”

 

Queste differenze si vedono ampiamente nella concretezza dell’andamento economico delle diverse destinazioni turistiche. Guardiamo alle principali destinazioni balneari, perché le differenze sono molto più nette e più visibili: le destinazioni più capaci di generare valore aggiunto (vale a dire ricchezza collettiva) hanno una bassissima componente di presenze turistiche legate alle seconde residenze.

 

“I circuiti alberghieri hanno una storia consolidata; una classificazione che, sebbene non sempre accurata, comunque garantisce gli standard dell’ospitalità; hanno brand ampiamente affermati e riconosciuti sul mercato”

 

In queste aree l’incidenza alberghiera è preminente e anche per questa ragione le destinazioni riescono a entrare maggiormente (e meglio) nei circuiti del turismo internazionale. I circuiti alberghieri hanno una storia consolidata; una classificazione che, sebbene non sempre accurata, comunque garantisce gli standard dell’ospitalità; hanno brand ampiamente affermati e riconosciuti sul mercato. Questa relativa minore distinzione alberghiera nel sud (escluse le destinazioni iconiche, come Capri, Taormina, Sorrento e poche altre) è uno dei fattori principali per cui il tasso di turisti internazionali nelle regioni meridionali è nettamente più basso rispetto alle regioni centrali e settentrionali, non solo nelle grandi città d’arte, ma anche nel settore balneare.

All’opposto, quando guardiamo alle destinazioni balneari, che hanno la maggiore proporzione di seconde case, vediamo che la loro capacità di generare ricchezza (a parità di numero di presenze) è nettamente inferiore. È il caso di alcune destinazioni balneari come Ostuni, Alghero, Gallipoli, Porto Cesareo e altre ancora nelle regioni meridionali del Paese. Ovviamente non è questo il solo fattore che determina la loro minore capacità di creare valore aggiunto nell’economia, ma all’interno del meccanismo specifico dell’economia turistica, questo fattore si presenta come il principale.

Questo studio ci ha permesso perciò di “uscire dall’indistinto”, di vedere il settore del turismo con precisione analitica, con attenzione ai suoi fattori distintivi, con la capacità di discernere tra modelli che determinano grandi differenze di impatto economico. Il turismo è un settore molto importante per l’economia nazionale e vitale per molte economie locali; troppo importante per esser lasciato al genericismo e per accontentarsi di visioni nebulose, evasive, indefinite, che non danno merito al suo valore e, di conseguenza, alle politiche necessarie per accrescere il suo contributo alla formazione della ricchezza nazionale. Una maggiore serietà è indispensabile.