Nel corso del Forum dell’Economia Urbana del Comune di Milano, tenutosi dal 15 al 17 febbraio 2024, APA Confartigianato Imprese, in collaborazione con A.P.I. Associazione Piccole Industrie e ACAI Casartigiani, ha presentato il Manifesto “Milano città senza botteghe? Gli artigiani e le PMI per il futuro di Milano a misura d’uomo e di impresa”.

Il Manifesto, frutto di un attento ascolto delle realtà imprenditoriali milanesi (e di quelle che la città ha visto costrette ad abbandonare), rappresenta un’articolata riflessione sulla coesistenza tra le grandi città e le micro, piccole e medie imprese. Il documento, oltre a delineare un quadro della situazione attuale, propone spunti di riflessione e strategie concrete per affrontare le sfide comuni.

“Insieme” è la parola chiave che ha guidato i promotori del Manifesto, convinti che solo attraverso la collaborazione tra istituzioni, associazioni di categoria e imprese si possa contrastare la desertificazione dei centri urbani e salvaguardare il tessuto economico e sociale delle città.

 

Milano, in questo senso, rappresenta un “caso scuola” per il resto d’Italia. Le problematiche affrontate dal capoluogo lombardo sono infatti comuni a molte altre città italiane, e il Manifesto vuole offrire spunti e strategie per affrontare tali sfide in modo efficace.

Pubblichiamo di seguito il testo integrale del Manifesto

 

Considerazione e proposte

  • Milano è da ormai molti anni la città italiana che corre di più: è tra le poche a guadagnare abitanti in una fase di brusco calo demografico e tra le poche a vedere una crescita costante dei valori immobiliari. Persino le presenze turistiche, in una città bella ma storicamente fatta “per lavorare” hanno raggiunto livelli
  • A fianco, e in conseguenza, di questi dati positivi emergono con sempre maggiore forza alcune criticità, che in parte sono frutto della crescita Queste criticità, se non indirizzate, producono esternalità negative che a medio termine indeboliscono proprio il processo di crescita.
  • In primo luogo, vi è il tema dei costi della città, innanzitutto di quelli immobiliari: vivere a Milano è sempre più costoso e questo comporta l’espulsione dalla città di categorie sociali ed economiche che ne costituiscono il terreno fondamentale per la La marginalizzazione fisica e sociale della classe media, degli studenti, dei lavoratori, costretti ad allontanarsi dalla città in favore di chi possiede le risorse economiche per vivere a Milano o ha vinto la lotteria della rendita comporta un impoverimento di quella biodiversità che fa grandi e interessanti le città globali, ruolo a cui Milano legittimamente aspira.
  • Parte integrante di questa biodiversità è quella produttiva. L’aumento dei costi immobiliari, unito alla difficoltà di reperire personale e allo sviluppo di un’economia fortemente spostata sul digitale e sulle grandi catene e i centri commerciali, ha comportato un’epidemia di chiusura di esercizi commerciali, botteghe artigiane, manifatture, oppure un loro allontanamento dalla città. Ne risultano quartieri stravolti nel livello fondamentale del loro piano strada: alcuni, quelli turisticamente più rilevanti, sono in preda alla proliferazione incontrollata di esercizi mordi e fuggi, alcuni di dubbia provenienza, che in alcune vie occupano tutte le vetrine, senza alcuna garanzia di qualità, identità, legalità; altri, quelli più periferici, scontano la progressiva chiusura delle botteghe indipendenti, con conseguenze sul decoro urbano e la La coda lunga del processo novecentesco di espulsione della manifattura dalle città continua poi, anche in un’epoca in cui produrre dove si abita non è solo possibile e sostenibile, ma anche auspicabile, ad espellere officine e piccole imprese manifatturiere dalle mura cittadine, non da ultimo per scelte urbanistiche e sulla mobilità che rischiano di rendere il fare impresa manifatturiera in Area 13 assai più complicato e costoso.
  • Le città più dinamiche nel tempo sono quelle che garantiscono la massima mixité di categorie sociali e Funzioni nello stesso spazio, mentre la monocultura sociale e Finanziaria, soprattutto in Europa, conduce solo a successi di breve respiro. L’esperienza delle principali metropoli occidentali dimostra che mantenere un’offerta di beni e servizi diffusa, di qualità e indipendente e integrare una manifattura anche tradizionale, ma innovativa e sostenibile, nelle città e sostenere è non solo possibile, ma anche elemento Fondamentale di equilibrio tra classi sociali e Funzioni: le città sono i luoghi in cui accadono le cose e più ne accadono più vive, dinamiche, di successo sono le città stesse, ma per questo bisogna tutelare la biodiversità.
  • Milano ha storicamente consolidato un’identità Forte di città del Fare, in grado di accogliere e metabolizzare persone, classi, gruppi etnici e sociali sulla base del terreno comune del lavoro come elemento anche identitaria: chi veniva a Milano per lavorare diventava milanese, indipendentemente da dove provenisse e da quale attività svolgesse. Se si smarrisse questa identità, che invece può e deve essere rafforzata e innovata, in Favore di un modello di pura finanziarizzazione degli spazi, standardizzazione delle insegne in catene e monopolio di consumi usa e getta, si indebolirebbe la coscienza della città e dunque anche la sua vivibilità e competitività.
  • Non è solo un problema di chi vive a Milano e di chi ne è espulso: anche chi investe nella città che cambia deve sapere che senza identità e senza la sua esperienza, nel medio termine questi investimenti pagheranno di meno e che dunque è necessario sostenere processi di evoluzione della città che ne mantengano intanto, innovandolo nei processi, nei settori e nei luoghi, il cuore produttivo, senza il quale Milano non è più
  • Come associazioni della rappresentanza degli artigiani e delle PMI milanesi vogliamo avviare un’interlocuzione con tutti gli stalkeholder, pubblici e privati, di questi processi di evoluzione, Facendo presente i rischi della “disneylandizzazione” della nostra città e al contempo Facendoci soggetti attivi nel proporre e implementare soluzioni innovative per mantenerne viva la biodiversità sociale e

Le nostre proposte

  1. Oltre la monocultura del consumo usa e getta: Milano non è Disneyland, né un centro commerciale, ma una città complessa, variegata, ricca di differenze che hanno convissuto storicamente, anche condividendo i medesimi spazi. Le trasformazioni degli spazi urbani, legate esclusivamente alle logiche della finanza, della rendita e dell’overtourism stanno ridisegnando la città rendendola sempre meno varia e accogliente per chi con risorse “normali” ci vuole vivere, lavorare, fare impresa. Se si spopolassero di abitanti e imprese interi pezzi della città, a partire dal centro storico, in favore di negozi e servizi di bassa qualità e pensati per un turismo o un consumo mordi e fuggi, Milano diventerebbe culturalmente e socialmente più povera e meno interessante. Il tema della presenza delle imprese a Milano e della loro qualità come elemento integrante delle traiettorie di sviluppo della città deve tornare ad essere al centro del dibattito pubblico e delle conseguenti politiche, indipendentemente dai soggetti che le propongano e implementino.
  2. No saracinesche abbassate: ogni saracinesca abbassata, nelle periferie che perdono negozi e servizi di prossimità, ma anche nel centro, rappresenta una piccola ferita per la città, una perdita di cultura imprenditoriale e a tendere anche una minaccia per la sicurezza. Vogliamo proporre al Comune e agli operatori immobiliari un patto “no saracinesche abbassate”, per favorire l’insediamento di nuova impresa di qualità in luogo di quella che lascia, incentivare la successione di impresa, favorire anche l’insediamento di attività temporanee, che consentano a chi viene da fuori di proporre i propri prodotti a un mercato sofisticato, ricco e internazionale come quello milanese a costi sostenibili.
  3. Attenzione alla tradizione produttiva di Milano: ogni attività artigiana, commerciale e produttiva milanese che chiude, soprattutto per i costi di operare a Milano (affitti, spostamenti, esternalità per i collaboratori), rappresenta una ferita per tutta la comunità e mina gli elementi essenziali della coesione che fondano la propria ragion d’essere sulla natura inclusiva delle attività di prossimità soprattutto se attività storiche per la vita della città sono sostituite da altre a molto minor valore aggiunto. Le imprese storiche milanesi di qualunque genere devono essere tutelate in termini di costi, burocrazia, passaggio di testimone, perché rappresentano un patrimonio di tutta la comunità, un pezzo della nostra storia e identità, un valore anche per il futuro.
  4. Incentivare gli spazi ibridi della nuova manifattura: chi, seguendo tradizioni secolari, vuole fare impresa a Milano oggi deve trovare condizioni di agibilità anche se dispone di capitali molto inferiori a quelli dei fondi di investimento o delle grandi ricchezze. È necessario pensare e creare spazi per fare impresa artigiana e manifatturiera che integrino produzione, commercializzazione, innovazione tecnologica collaborativa e formazione continua di competenze e persone. Questi “spazi ibridi”, che fanno parte integrante del panorama delle città globali più avanzate, devono consentire non solo di fare impresa a condizioni economiche sostenibili, ma anche all’intero ecosistema locale delle micro e piccole imprese di crescere, sperimentare, innovare in modo collaborativo, contribuendo anche ad una riqualificazione urbanistica del territorio che sia funzionale alla vita delle
  5. Mantenere viva la cultura del fare: Milano deve tornare ad essere la città dell’impresa e del lavoro, non solo nelle sue forme più globalizzate e immateriali, ma anche recuperando, innovandola, la tradizione manifatturiera di questo territorio. Per questo motivo, è necessario incentivare la relazione positiva tra il sistema locale delle imprese e il mondo della formazione, non solo professionale, che a Milano raggiunge livelli di eccellenza. Vogliamo raccontare le imprese ai ragazzi perché possano conoscere, al di là degli stereotipi e delle aspettative non più attuali, la ricchezza del tessuto manifatturiero locale, per poterlo considerare come opportunità professionale, ma anche per poterlo ibridare con lo sguardo e le competenze di chi ha maggiore familiarità con le tecnologie digitali e la salvaguardia dell’ambiente, necessarie per il futuro.
  6. Fare muovere le merci {in maniera sostenibile): una città che continua a produrre è anche una città di flussi, di persone e merci e questo aspetto non può essere ignorato mentre si ridisegna la mobilità di Non si tratta di negare l’immenso lavoro svolto dall’amministrazione comunale per una mobilità più sostenibile, ma di fare presente che nell’algoritmo deve entrare anche la possibilità di spostare merci e persone all’interno del comune e tra questo e l’area metropolitana circostante, senza strozzature fisiche ed economiche che di nuovo rendono la città fruibile solo da pochi. Riconoscere la necessità di realizzare una nuova mobilità nella città passa da un’attenzione fattiva a una nuova logistica, a mezzi meno inquinanti e a soluzioni per la viabilità rispetto alla quali vogliamo essere soggetto innovatore e propositivo.
  7. La città a 15 minuti, per tutti: il tema della città a 15 minuti, ossia di una più equa distribuzione dei servizi e dunque della qualità della vita tra le parti della città, è fondamentale e deve essere portato a compimento, innanzitutto sostenendo le imprese esistenti e le nuove imprese di prossimità (anche attraverso le nostre proposte nei punti precedenti), nonché sostenere il rafforzamento del tessuto di impresa diffusa esistente, incentivando lo sviluppo di servizi innovativi e competitivi con la grande distribuzione, a partire dalla micrologistica.
  8. Sostenere la sostenibilità delle imprese: le piccole imprese e le imprese artigiane sono spesso già imprese sostenibili, per il minor impatto che generalmente producono sul territorio non soltanto in termini di minore consumo del territorio, ma anche in ragione degli elementi a valenza sociale di cui sono portatori; devono tuttavia comunicare meglio questo valore legato anche a comportamenti di acquisto meno consumistici (un prodotto artigiano è anche un prodotto durevole, riparabile e riutilizzabile); questi valori endogeni devono essere sostenuti e amplificati con competenze, risorse e semplificazioni, negli aspetti più complessi, onerosi e burocratici della transizione verde, che spesso rischiano di portarle fuori
  9. Riconoscere la funzione dell’impresa di prossimità per la sicurezza e la legalità: un tessuto fitto di botteghe, negozi e manifatture, con imprenditori che conoscono il territorio e sono seriamente legati al suo decoro, è anche presidio di legalità e sicurezza. Questa funzione deve essere riconosciuta, utilizzata anche integrandola con le nuove tecnologie, e soprattutto fare parte di ogni politica di ridisegno della città, come una variabile fondamentale per il proprio
  10. Investire a Milano ma investire anche su Milano: siamo milanesi, per nascita o per elezione, e teniamo a che la nostra città possa crescere senza perdere l’anima di città aperta, accogliente e del fare. Crediamo altresì che questi non siano solo valori sentimentali, ma che possano rispecchiare anche valori reali: una città plastificata, identica a tutte le altre, monoculturale e usa e getta non giustifica anche a medio termine gli investimenti realizzati e non li ripagherà. Mantenere e ridare a Milano l’anima produttiva che le appartiene è dunque un buon affare per tutti. Per questa ragione vogliamo confrontarci con spirito positivo con tutti gli attori pubblici e privati della trasformazione di Milano, affermando le nostre ragioni e proponendo soluzioni per rendere la nostra città sempre più bella, dinamica, produttiva e accogliente, per noi e per i nostri figli.

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