L’aggressione imperiale della Russia all’Ucraina ha esponenzialmente moltiplicato gli shock esogeni al meccanismo di riproduzione del capitale che costituisce la norma della valorizzazione e della produzione del profitto nella sua relazione con i salari e i prezzi. Il trend ascensionale tanto delle materie prime energetiche e dei prodotti lavorati che ne derivano, quanto quello delle produzione di base degli alimentari e dei composti chimici che ne consentono la produzione, hanno subito una impennata destinata a durare sino a quando dureranno le sanzioni imposte alla Russia prima dagli USA e poi dall’UE. La globalizzazione è il nesso di relazioni transnazionali delle supplies chaines delle imprese, ma gli stati possono, in mercati regolati algoritmicamente a comando automatico e insieme fondati sulle aspettative borsistiche, esacerbare l’ascesa dei prezzi e il blocco delle catene logistiche. Ciò è dimostrato  dalla carenza prolungata di anelli delle catene e dal rialzo dei prezzi dei prodotti prima richiamati, anche in presenza di bassi salari ed estesa disoccupazione. Ciò che chiamiamo inflazione è -invece- la manifestazione di una economia di guerra mondiale, prima per la lotta alla contaminazione e alla morte per pandemia, oggi per la guerra imperialista russa all’Ucraina a cui si è voluto rispondere non solo con le armi, come in ogni guerra in caso di violazione del diritto internazionale, ma anche con le sanzioni economiche con effetti devastanti sia nei confronti dell’aggressore sia nei confronti dell’aggredito, con una trasformazione duratura dell’economia mondiale tutta intera e  delle condizioni di vita delle popolazioni che in essa vivono.

In Italia tale situazione enfatizza il dualismo non solo territoriale, ma anche dimensionale delle imprese, tipico, accanto  a  quello tra imprese esportatrici e imprese principalmente rivolte a mercato interno, del sistema economico-sociale dell’Europa del Sud.  Ciò avviene ora in forma più marcata che mai in Italia, perché essa è il sistema economico sociale di cerniera tra Europa del Sud ed Europa continentale, come spesso non si ricorda: in Italia, prima degli ultimi e ultima dei primi, tutte le contraddizioni dell’economia di guerra si riverberano con una forza inusitata per l’articolazione specialissima del sistema delle industrie, fatto di imprese  e di servizi articolati e tanto per la produzione di commessa quanto la  produzione di massa, con una spiccata prevalenza della prima e quindi con una delicatezza dei processi di assemblaggio e di composizione delle catene logistiche delicatissima.

In questa prospettiva la situazione attuale la piccola impresa e l’impresa artigiana affrontano la crisi odierna in forme specifiche e singolari su cui non si riflette mai abbastanza.

Se la crisi attuale è crisi esogena al meccanismo di circolazione del capitale e non è né di sovra, né di sotto sviluppo della domanda, oppure dell’offerta e non è neppure solo una crisi tipica di abbassamento del tasso tendenziale di profitto, crisi comune a tutte le imprese mondiali dopo gli anni della crisi mondiale del 2007 –2008. Ebbene, la crisi dell’impresa artigiana, in qualsivoglia industria essa si collochi, deriva ora in primis dalla rottura o dalla frizione delle relazioni bancarie e della costruzione delle garanzie e quindi delle capacità di ricorso al credito di cui essa scarsamente dispone a fronte della concorrenza delle grandi imprese nel campo degli affidamenti. La situazione è dinanzi a noi: per la contaminazione e per la minaccia della morte da COVID da un lato e per l’interruzione dei servizi di logistica, di spedizione e di noleggio delle merci nelle catene del valore e, dall’altro, per effetto della guerra imperialistica.

Le catene  logistico-produttive negli ultimi trent’anni si erano  sempre più ampliate allontanandosi dall’assemblatore finale. Ed eccoci allora, oggi che esse si spezzano e si amplificano i costi di produzione alle stelle, il problema cruciale: il problema della continuità finanziaria dell’impresa, artigiana in specie.

In questo contesto aumenta il costo dei fattori di produzione e la necessità di predisporre ampliamenti delle credenziali del credito nonché delle fonti di approvvigionamento

Il sistema banco-centrico italiano è il meno idoneo a reagire a queste sfide

Esse sono state affrontate storicamente sempre grazie alle banche mutualistiche, popolari e  cooperative: grazie alla loro presenza storica in Italia, come in tutto il mondo,  dagli USA alla Germania, dall’Africa, all’Asia, all’Oceania, le imprese artigiane sono sopravvissute a grandi crisi e sorgono di nuovo sempre, confutando tutte le teorie neoclassiche per cui solo la grande dimensione resiste di fronte alla caduta dei processi di valorizzazione.

 

In Italia le banche popolari e casse rurali sono state i fattori trainanti della crescita artigiana

 

Per ragioni diverse, tuttavia, queste due tipologie di organizzazioni mutualistiche hanno avuto negli ultimi anni una involuzione che ha comportato, per pressioni legislative avverse, un forte caduta della realizzabilità degli obiettivi originali. Nate sul finire dell’Ottocento  per spinta cattolica e liberale per garantire il credito al consumo  alle piccole imprese sulla base della conoscenza diretta dei richiedenti prestito, si confrontano oggi con la spinta a sostituire la conoscenza diretta con gli algoritmi che decidono sul merito di credito delle singole imprese, non lasciando spazio a valutazioni specifiche a livello territoriale e tanto meno a valutazioni discrezionali basate sulla conoscenza del richiedente. Se la valutazione dell’opportunità dell’affidamento è basata su regole che le imprese artigiane non possono contribuire a determinare, si amplificano le  differenze enormi tra il micro credito e quello al consumo, erogato a un tasso relativo sempre più alto del credito concesso  alle grandi imprese.

 

Occorre ridare forza alle ancora esistenti banche popolari e cooperative territoriali a proprietà diffusa, perché esiste uno spazio relativo al credito al consumo e al credito alle piccole imprese che è necessario colmare con iniziative nuove, in un’ottica mutualistica e quindi con il coinvolgimento dei partecipanti.

 

I piccoli imprenditori, gli artigiani prima di tutti, per la loro intrinseca natura comunitaria d’impresa, debbono tornare  a forgiare il proprio destino seguendo gli esempi storici virtuosi del credito mutualistico.

Una possibilità in questo scenario è data dall’utilizzo, con modalità innovative, di strumenti tecnologici partecipati che consentono il controllo del rischio di insolvenza e enfatizzano meccanismi di formazione finanziaria dei potenziali gestori e destinatari di queste nuove forme di mutualizzazione del risparmio e di finanziamento dell’investimento.

E’ necessario fare del sistema bancario cooperativo e popolare e del rafforzamento della mutualità creditizia una forza di cambiamento indispensabile per affrontare le conseguenze della crisi esogena che si sta ampliando in tutto il mondo e in Italia in forme che ancora non abbiamo ben compreso, ma che saranno di grande ampiezza.

Lo spirito artigiano o è mutualistico o non è.  E il mutualismo è la risposta di resistenza all’economia di guerra, risposta riformista e creativa.