Lo scenario che si apre a seguito del conflitto ucraino evidenzia un futuro dominato da una ’economia della sopravvivenza’, come la definisce il Professor Giulio Sapelli nell’intervista di Piercarlo Fiumanò pubblicata sul quotidian ’Il Piccolo’  di Trieste in edicola il  22 Aprile.

 

Una economia di guerra che richiederà sacrifici e profonde trasformazioni: “Per garantirci un futuro sociale ed economico nei prossimi trent’anni – afferma il Professor Sapelli – dovremo passare a una nuova fase attraverso bassi costi di produzione e una austerità sociale. Impariamo a risparmiare e a vestirci con poco”.

 

E’ una nuova  dimensione che coinvolge i sistemi economici mondiali e che impone di affrontare una situazione complessa con importanti criticità come il blocco dei traffici globali, l’aumento della disoccupazione e della  povertà, il rallentamento delle attività commerciali e produttive. Dopo la pandemia, che già aveva determinato un forte rallentamento degli scambi economici mondiali, la guerra nel cuore dell’Europa rischia di ‘regionalizzare’ definitivamente i traffici economici.

La crisi non risparmia la Cina che, ancora coinvolta nella lotta contro il Covid e costretta a nuovi rigidi lockdown, rischia una fase di declino economico.  Se questo dovesse succedere “siccome le economie sono interconnesse, ci sarà più disoccupazione e povertà” sostiene l’economista.

Con questa logica è diminuito l’interesse a delocalizzare la produzione per rincorrere sistemi economici con un minore costo di manodopera. Il rallentamento dei traffici globali ha prodotto un aumento vertiginoso dei costi dei noli marittimi, aumentati del 22,6% in un anno (report 2022 Srm e Intesa San Paolo), ed anche di tutte le fasi della catena logistica, provocando il rischio di un blocco produttivo ben più pericoloso dell’inflazione. Per cui, aggiunge il Professor Sapelli, “questa crisi non si risolve con i sussidi indiscriminati che provocano soltanto povertà ed iper-inflazione”.

La guerra in corso ha posto sul tavolo anche la questione energetica mondiale e la fortissima dipendenza dal gas russo che, tra l’altro, continua ad essere scambiato tra Paesi belligeranti nonostante le contrapposte posizioni.  E’ una situazione che coinvolge tutta l’Unione Europea ma in Italia la politica energetica miope e la mancanza di fonti energetiche alternative, in particolare quelle cinetiche, richiederà l’’accensione delle vecchie centrali a carbone per ottenere almeno un parziale affrancamento dal gas russo.

Le analogie con la crisi petrolifera degli anni settanta riguardano la dipendenza dell’Occidente dalle fonti energetiche indispensabili per mandare avanti il sistema economico, ieri dal petrolio controllato dai Paesi produttori dell’Opec ed oggi dal gas russo. Ma l’aumento esponenziale dei prezzi non dipende solo da una carenza fisiologica che deprime il lato dell’offerta, quanto anche da decisioni politiche e movimenti speculativi. “ Il prezzo della maggior parte dei beni energetici “, spiega il professor Sapelli, “non si basa infatti sulla quantità disponibili, o sul gioco fra domanda e offerta, come accadeva negli anni Novanta, ma si stabilisce alla Borsa di Amsterdam. Mi riferisco alla decisione dell’Olanda di spegnere il sito di Groningen en per il rischio sismico. Parliamo del più grande giacimento di gas d’Europa che garantiva una produzione annua di 50 miliardi di metri cubi, un terzo di quello che tutta l’Ue importa dalla Russi”. Con rischi per il settore metallurgico, come fa notare il giornalista, e per il sistema economico europeo  in generale che, a causa delle sanzioni sarà duramente colpito per molti anni.

 

Le trasformazioni comporteranno un accorciamento delle catene logistiche, con un passaggio da una economia dei traffici fortemente globalizzata ad una sostanziale regionalizzazione. Sino a tornare, dice l’economista, “alle zone di libero scambio degli Sessanta-Settanta del  Novecento. Ma perché si possa vedere l’esito finale di questo processo sarà necessario attendere a lungo. Lo scenario potrebbe di nuovo cambiare, speriamo, con la fine della guerra”.

 

In questo scenario, il Professore attribuisce un ruolo centrale alle piccole e medie imprese  le cui caratteristiche consentono di  riorganizzare la produzione in modo veloce e flessibile alla luce dei cambiamenti in atto. “In questo senso sono le vere protagoniste dell’economia circolare: mi riferisco alla nuova economia green che valorizza gli scarti produttivi e riesce a fare economia sui costi. Le Pmi potranno porre un argine alla crisi attraverso i business plan, mettendo in campo forme di microcredito attraverso le banche cooperative si territorio”.

A conclusione, una amara riflessione sul ruolo dell’Europa:

 

“ L’Europa non esiste più nel senso che intendevano i suoi padri fondatori”, riflette il Professor Sapelli . Ha mancato il suo ruolo di mediatore, subalterna alle  posizioni degli Stati Uniti ed incapace di elaborare una linea politica  indipendente”.