Dentro alla crisi della forma “ordinata e istituzionale” della rappresentanza degli interessi, che ha cominciato a manifestarsi dagli anni ’90, dopo il “tutti liberi” (da vecchi legami di fedeltà o necessità partitica) per le conseguenze della caduta del muro di Berlino, si osservano tante piccole novità che riguardano il “chi” rappresentare, il “come”, i “destinatari” dell’iniziativa associativa, cioè coloro che decidono sugli interessi di volta in volta rappresentati, e l’influenza degli incessanti cambiamenti di contesto, alcuni dei quali traumatici.

La conoscenza dell’oggetto da rappresentare

Tra i presupposti dell’azione del rappresentare vi è la conoscenza di chi e di ciò che si rappresenta, affermazione che potrebbe apparire facile, quasi scontata nella sua linearità. È invece fondamentale un’efficace individuazione degli interessi, dell’imprenditore e dell’impresa, non sempre evidenti a una prima lettura, spesso da ricavare da una molteplicità di elementi, compito affidato all’associazione di appartenenza e alla sensibilità e competenza dei diversi attori coinvolti.

Poco di nuovo, fin qui. È così da tanto tempo, fatta eccezione per l’impatto causato dalla crescente complessità dei contesti politici e dei mercati.

Da qualche anno si sono però aggiunti cambiamenti che chiedono nuove chiavi e strumenti di lettura.

L’inquadramento dell’imprenditore e dell’impresa

La forma associativa, tutto sommato “ordinata e funzionale” che ci ha accompagnato fino ad oggi, prende essenzialmente spunto dai dati oggettivi e puntuali relativi alle realtà singole e aggregate rappresentate.

Nel Sistema Confartigianato, preso ad esempio in questa riflessione, quando un imprenditore e quindi l’impresa da lui rappresentata si associa, viene considerato ed inquadrato secondo due dimensioni: il mestiere praticato ed il territorio dove l’azienda ha sede. C’è quindi una prima lettura di carattere merceologico, sia di codice ATECO che di aggregazione settoriale, per cogliere tutte le implicanze relative ai beni e servizi prodotti dall’azienda; segue una lettura di carattere territoriale, con un inquadramento di norma comunale, per dare valore agli elementi che legano l’azienda al territorio, dai fattori logistici a quelli della mobilità; dalla componente del mercato del lavoro e delle strutture formative che alimentano e qualificano l’offerta di capitale umano, alla componente dei servizi sociali e sanitari e, non ultima, all’offerta abitativa.

Un tempo si parlava di “orizzontale” versus “verticale”; oggi i due assi si incrociano più volte; si può dire che la verticalità dei mestieri ha frequenti interazioni con l’orizzontalità territoriale e viceversa in relazione sia a vincoli per l’attività di impresa che alle crescenti opportunità, oltre alla stessa evoluzione del concetto di territorio. Va altresì considerato che questo contemporaneo doppio inquadramento è neutro e lascia tutto lo spazio necessario per considerare sia esigenze di carattere soggettivo che di carattere aziendale. Torniamo però al “chi e cosa” rappresentare.

L’importanza del ‘chi’ e del ‘cosa’ rappresentare

Il “chi”, con al centro l’imprenditore, raccoglie la sua dimensione soggettiva, che fra poco cercheremo di esplorare. Il “cosa” contiene la dimensione dell’impresa, con i numeri dei ricavi, dei margini, degli occupati, del mercato di sbocco e delle filiere di appartenenza e degli altri beni immateriali. Nella tradizione associativa, per rafforzare il chi, si dà spazio ad aggregazioni a forte rilievo sociale, come nel caso dei giovani, delle donne, dei pensionati in attività. Sono aggregazioni di sistema nazionale, talvolta anche comunitario, con l’obiettivo di ricavare dall’esperienza degli appartenenti stimoli e proposte migliorative delle rispettive condizioni di genere e di età.

Sempre nell’esperienza associativa che ha al centro l’impresa, operano le comunità di mestiere, le loro aggregazioni per settore e per filiere al fine di comprendere meglio il percorso di formazione del valore e di fornire all’impresa indicatori di riferimento utili a valutazioni gestionali e di mercato.

Appartenenza di mestiere (e settore) e appartenenza territoriale sono la base democratica, di partecipazione e di composizione degli organi di governo, della gran parte delle associazioni territoriali della piccola impresa e del lavoro autonomo. Vale la pena di chiedersi se questa impostazione è sufficiente a raccogliere le caratteristiche fondamentali dei soci, come persone e come imprese, o se invece sia il caso di osservare altri aspetti cresciuti di importanza nel tempo oppure di rendere più contemporanea e proiettata nel futuro la lettura delle due citate dimensioni.

Nello spazio che accomuna i titolari, come persone, alle rispettive aziende, il “chi” sta crescendo di importanza. La dimensione dell’imprenditore come persona (o dei singoli soci e talvolta di familiari) appare sempre più dirimente. L’imprenditore non recita un copione standard, per quanto possa sembrare all’apparenza, ma trasferisce nella sua azione di governo dei diversi fattori dell’impresa le sue qualità, le sue caratteristiche, le sue aspettative, il suo vissuto.

Da tempo, nei non frequenti esercizi di segmentazione o profilazione dei soci, oltre a considerare i dati aziendali, sempre importanti ben s’intende, si cerca di comprendere attitudini e stili di governo aziendale del titolare. Vale per il titolare di imprese con dipendenti ma anche per l’impresa con il solo titolare. Si vengono a creare di conseguenza dei cluster comportamentali nei quali, oltre agli ambiti rilevanti ai fini della gestione aziendale, si valorizzano gli atteggiamenti imprenditoriali.

Classificazioni degli imprenditori

Le classificazioni fanno emergere diversi approcci, che potremmo ridurre a tre: approccio imprenditoriale conservatore, attendista, innovatore. Sono tre aggettivi che a loro volta includono sottocategorie che meglio concorrono a definire le caratteristiche operative dell’imprenditore.

L’imprenditore “conservatore”, ad esempio, può essere condizionato da rapporti di subfornitura e da prossimità di mercato, da reazione alle novità per l’instabilità che possono comportare, dal convincimento che il modello operativo sia del tutto attuale e sufficiente oppure dal rigetto verso burocrazia e adempimenti, con conseguente staticità comportamentale.

L’imprenditore “attendista” può essere un sano opportunista, un pragmatico attento, un anello statico di una filiera produttiva, un “sostenibile” per necessità.

L’imprenditore innovativo può essere un visionario nel business, oppure un cocciuto innovatore tecnologico, un innovatore radicale, un “sostenibile” per fede, un dinamico seriale. Per tutti valgono le ulteriori informazioni riguardanti gli aspetti relativi alla personale formazione e alle modalità di aggiornamento, all’appartenenza a reti e/o gruppi di ricerca e sperimentazione, alla propensione collaborativa e alla cura di relazioni fiduciarie, al bagaglio professionale e di esperienze, all’anzianità aziendale quando questa consiglia un adeguato passaggio aziendale, non sempre possibile all’interno del nucleo familiare.

Sono caratteristiche e comportamenti che possono essere osservati nella conduzione complessiva dell’impresa, ma anche su singoli versanti di questa, come nel caso della promozione nei mercati, della ricerca sul prodotto, nell’approccio alla sostenibilità, nel governo del capitale umano aziendale, nella trasmissione di azienda. Il punto di partenza di questa osservazione e quindi il fattore sempre più determinante diventa il comportamento umano, l’indole imprenditoriale, la soggettività nello stile di governo.

Influiscono in maniera crescente sulle scelte degli imprenditori anche la loro visione di futuro, quasi come se fosse una precondizione per investire, e poi le aspettative personali e aziendali e il quadro valoriale al quale essi fanno riferimento. Tra le aspettative si sottolinea la necessità di trovare risposte alle crisi ormai frequenti, all’instabilità che esse provocano, alla competizione che si inasprisce. Questi elementi condizionano anche la percezione dell’utilità o meno dell’associarsi e sono parte del giudizio sulla qualità del rapporto associativo.

L’azione associativa conseguente, nelle diverse iniziative di consultazione e informazione circa l’evoluzione del contesto competitivo e soprattutto nell’offerta di opportunità, costruite dall’associazione o presenti nel mercato, è chiamata quindi a compiere selezioni e promuovere aggregazioni che tengano sempre più conto dell’omogeneità soggettiva e delle aspirazioni degli imprenditori, anche innovando rispetto ai target tradizionali di approccio.

La rappresentanza degli interessi nella società in evoluzione

Un secondo importante elemento di novità, di cui molto si parla e poco ancora si sperimenta nelle piccole imprese e nelle associazioni, ha a che fare con l’intelligenza artificiale, che aggiunge alla dimensione umanamente consapevole una dimensione non ancora esplorata, prodotta da algoritmi che partono dalla realtà per interpretarla con modalità non convenzionali. Offrono all’imprenditore, anche grazie al supporto della business intelligence, un set di letture decisamente più ricco e non usuale, che riguardano la gestione aziendale e dei problemi complessi, l’approccio al mercato, l’incidenza delle condizioni di contesto, l’accesso al credito, il governo del capitale umano, i comportamenti dei soggetti in relazione con l’impresa, l’evoluzione del territorio dove l’imprenditore opera. Si passa da contenuti aggiuntivi, del periodo che precede l’esplosione dell’IA, a contenuti sostitutivi, autenticamente nuovi, e non versioni più potenti o efficaci di cose già possedute.

Si passa dall’esperienza emotiva, come fonte di informazione, all’esperienza che supera il vissuto soggettivo, con forme diverse di apprendimento logico. Si fa strada una nuova soggettività, che influisce anche sulle identità che fin qui conosciamo e cresce al contempo il rischio della cosiddetta miopia tecnologica.

Afferma il sociologo De Rita che la dimensione della soggettività è in costante aumento dagli anni ’70. Con l’irrompere dell’intelligenza artificiale, la comprensione della dimensione soggettiva, che concorre a definire la scala degli interessi e delle aspettative, ha bisogno di nuovi criteri di approccio. Probabilmente cambierà anche la nostra percezione degli obiettivi individuali e sociali.

La lettura e la conoscenza dei contesti e della loro evoluzione, per l’influenza che hanno sui destini di persone, imprese e comunità, affronta la sfida di restare ancorata alla realtà, senza cedere ai condizionamenti dei flussi di pensiero “imposti” o plasmati e di ciò che viene fatto apparire distorcendo la realtà. Uno dei compiti che una irrinunciabile etica associativa impone sarà preservare il ruolo dell’individuo nel verificare i fatti e dare senso all’informazione.

L’attività di rappresentanza degli interessi affronta quindi un altro tornante della storia. L’intelligenza artificiale, con le epocali trasformazioni che comporterà nella società, nell’economia, nella politica interna ed esterna, preannuncia effetti che vanno ben oltre i tradizionali interessi e gli approcci fin qui usati.

Come affermano gli autori del numero monografico che “Spirito Artigiano” ha dedicato all’Intelligenza Artificiale, non è tempo di panico e di rimuginare, ma di conoscere, riflettere e agire. La rappresentanza degli interessi è un mestiere antico che continua a fare i conti con i cambiamenti. La sfida della soggettività come motore delle scelte delle persone e quindi anche degli imprenditori si arricchisce di nuovi elementi.

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