Ormai convivono sullo stesso palcoscenico fìno a cinque generazioni, ma la proporzione tra giovani e anziani è del tutto cambiata. Non dimentichiamo che il pianeta era popolato da due miliardi di persone a metà del Novecento, e ora siamo quasi nove miliardi, ma i destini delle diverse aree del mondo si presentano ben diversi. L’Europa del 1970 “conteneva” un sesto della popolazione mondiale; quella di oggi, un sedicesimo.

In quello che ora può anche letteralmente chiamarsi Vecchio continente, nel 2021 la Commissione ha presentato un Libro verde per avviare il dibattito politico sulle sfìde e le opportunità insite nella società europea che invecchia, invitando i cittadini a esprimersi sulle risposte a questa tendenza attraverso una consultazione pubblica. Vi erano contemplati molti aspetti, dall’apprendimento lungo tutto l’arco della vita al rafforzamento dei sistemi sanitari e assistenziali per rispondere ai bisogni di una popolazione più anziana, «coi propulsori d’innovazione che comporta e con le risposte che esige dalla politica».

 

L’Italia è il paese più anziano d’Europa ma il Giappone è il più senile del pianeta: invecchiamento della popolazione e calo delle nascite, una forza lavoro autoctona che nei prossimi anni calerà del dieci percento

 

A Tokyo stimano che si debba quadruplicare il numero di lavoratori stranieri: dagli attuali 1,7 milioni a 6,7 entro il 2040. Oltre a compensare la mancanza di manodopera incentivando l’occupazione femminile e rimandando l’età pensionabile, il governo giapponese spinge su automazione e intelligenza artifìciale, essendo il paese avanguardia nell’ agetech e nell’introduzione dei robot anche nelle case di cura, per sopperire alle difficoltà di reclutamento degli operatori sanitari.

E qui viene il punto. Non si tratta semplicemente di… contarci.

 

Il fenomeno demografìco (longevità, de-giovanimento) e il fenomeno innovativo (neuroscienze, robotica, intelligenza artifìciale) si incontrano e si scontrano nella realtà, evocando scelte fìnalistiche per la società civile, scelte politiche per le istituzioni, scelte economiche per il mercato, scelte valoriali per individui e collettività. Se indossiamo le lenti della demografìa, l’impatto di tutte le altre transizioni – digitale, ambientale, biologica – risulta amplifìcato

 

Nella medicina di precisione e nell’arte, nel travaglio dei NEET e nei laboratori artigiani, nulla sfugge al confronto tra innovazione e assetti demografìci. Domandiamoci cosa ciò signifìchi, per esempio, nel governo delle città: le smart cities immerse nella tecnologia sono condannate a rivelarsi moltiplicatori di alienazione e digital-divide per le generazioni che non siano native digitali? E come possiamo introdurre le esigenze di spostamento e accompagnamento degli anziani nella contrattazione con le piattaforme digitali più diffuse?

In ambito sanitario lo scenario è quello di una sempre maggiore difficoltà a far fronte all’invecchiamento della popolazione con la cronicizzazione del sistema, mentre va in tendenziale riduzione la fascia giovane della popolazione coperta dalle tutele minime di welfare. Parallelamente, nelle economie in via di sviluppo, il crescente numero dei giovani supera la portata dell’offerta pubblica di salute, escludendo la maggior parte della popolazione, principalmente giovane, dalle prestazioni assistenziali minime. In entrambi gli scenari, la sfìda etica dell’accessibilità e della sostenibilità incontra la responsabilità di governo della tecnologia.

Per quanto fascino possano avere, e per quanti problemi aiutino a risolvere, dobbiamo ricordare che gli scenari spalancati dall’intelligenza artifìciale, dalla robotica avanzata, dall’intervento sul genoma umano (avete sentito parlare di CRISPR-Cas 9?) possono mettere in crisi, spaventare, replicare divari e persino discriminazioni esistenti. Se non vogliamo farci bloccare dalla paura, proviamo allora a immaginare davvero una società per tutte le età, nella quale sentirci responsabili, insieme, di un nuovo sapere.

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