Laura Ramaciotti ha fatto della competenza la cifra della sua vita. Personale e professionale. Da due anni a questa parte è saldamente al timone di un ateneo – quello di Ferrara – che nell’ultimo lustro ha registrato una crescita esponenziale sia in termini di immatricolazioni, sia in termini di servizi erogati agli studenti.

Unife è diventata, in poco tempo, la principale azienda in termini di indotto sul territorio. L’indotto annuo della presenza di studenti in città e non solo è stimato (dato 2019) attorno ai novanta milioni di euro. Ed è per questo che «in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, l’affermazione delle donne in particolare, non può avvenire in virtù di quote di genere prestabilite, bensì sulla base delle competenze dimostrate». Ramaciotti a Spirito Artigiano racconta la sua esperienza al timone dell’università, con la consapevolezza (e al contempo il carico di responsabilità) che le derivano dall’essere una delle poche donne in Italia che è riuscita a infrangere il tetto di cristallo e arrivare al vertice dell’istituzione formativa per eccellenza.

 

Rettrice Ramaciotti, lei è una delle rarissime donne a ricoprire il suo ruolo. Come valuta la sua esperienza, specie nel confronto con altri suoi colleghi uomini e quanto, la competenza, è stata fondamentale per farsi strada nel mondo accademico?

“La competenza, ribadisco, è l’essenza di qualsiasi tipo di percorso a maggior ragione nell’ambito di un’istituzione culturale e formativa come è l’università. Certo, avere una donna rettrice non è così comune nel mondo accademico italiano. Però, al di là delle questioni di genere, posso senz’altro dire che sulla base dei confronti che ho avuto modo di avere durante – ad esempio – le riunioni della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), le poche donne rettrici sono arrivate a ricoprire quell’incarico dimostrando sul campo la propria competenza. Ho riscontrato che le rettrici hanno una capacità di guidare gli atenei per lo meno pari ai colleghi uomini”.

Il mondo accademico è ancora fortemente condizionato dalla presenza maschile o lei ritiene che qualcosa stia cambiando?

“È una questione culturale. Forse, rispetto ad anni fa, alcune incrostazioni ideologiche figlie di un modo arcaico di interpretare e di vivere l’università si stanno superando. Tuttavia non posso negare che persistano ancora diverse resistenze, benché evidentemente il mondo sia cambiato negli anni e  – di riflesso – stia mutando fortemente il mondo universitario. L’università, oggi più che mai deve essere un tutt’uno con la realtà nella quale è inserita. E, per condurre un ateneo, occorre avere una visione orientata alla modernità e al pragmatismo”.

Cambiando il mondo sono cambiate, probabilmente, le funzioni degli docenti all’interno degli atenei. E qui si torna al tema della competenza.

“Certo, nel tempo sono cambiate molte cose anche per il corpo docente a cui – anche nell’approccio all’insegnamento – è richiesta una ‘postura’ diversa rispetto al passato. E, a proposito di competenze, personalmente immagino il corpo docente come una grande orchestra nella quale, ognuno con il suo strumento, porta avanti una partitura da cui scaturisce l’armonia. Fuori di metafora, al giorno d’oggi è sempre più necessario che all’interno dei corsi di laurea e non solo ci sia uno scambio continuo nel solco dell’interdisciplinarietà. Che è il vero valore aggiunto di una buona formazione accademica”.

Come vede lei il rapporto tra mondo della formazione e mondo del lavoro anche per rispondere alle esigenze di manodopera più volte denunciata dalle imprese?

“Il rapporto tra mondo della formazione e mondo del lavoro a mio modo di vedere è inscindibile. L’uno non può prescindere dall’altro. Questo è un altro tassello di come, a mio giudizio, deve essere orientata una gestione efficace di un ateneo. L’Università ha il dovere di dialogare con le imprese e a maggior ragione con le imprese del territorio. Ferrara, come altre città universitarie italiane, ha un ateneo il cui corpo studentesco è composto per la stragrande maggioranza da fuorisede. Per cui, se si vuole tentare di trattenere i ‘cervelli’ che si formano sui territori, l’affaccio al mondo del lavoro è indispensabile. È una parte essenziale dell’orientamento in uscita. E, devo dire che, per quella che è la mia esperienza ho sempre trovato molta apertura da parte del mondo produttivo”.

Anche da parte degli attori istituzionali e politici ha riscontrato apertura al dialogo e volontà di costruire percorsi comuni?

“La politica lungimirante, specie a livello territoriale, nel policy making non può tralasciare la presenza di un ateneo. Ma su questo tutto sommato ho sempre trovato una buona risposta, anche se penso che vada superata la logica della stagnazione e che i rapporti tra istituzioni debbano orientarsi alla semplificazione. Spesso le resistenze, invece, sono interne al mondo universitario. Alcune realtà stentano ad aprirsi al mondo esterno. Per molti versi manca ancora un salto di qualità al sistema accademico italiano”.