«[il padre ser Piero da Vinci] … ordinò con Lionardo ch’e’ dovesse andare a bottega di Andrea [del Verrocchio]; il che Lionardo fece volentieri oltre a modo. E non solo esercitò una professione, ma tutte quelle ove il disegno si interveniva.» (Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, 1568)

 

La cultura artigiana non ha mai abbandonato la società; anzi, ha sempre saputo cogliere – nella sua storia millenaria – lo spirito del tempo, rigenerandosi in forme continuamente rinnovate ma senza smarrire le sue radici profonde.

L’innovazione artigiana, dunque, non si limita a usare meglio gli strumenti, ma tende a farli evolvere, a riprogettarli, a rigenerarli. È quindi una forma sofisticata di innovazione; ma possiede al suo interno anche i geni della sostenibilità e dell’economia circolare, che mettono al centro il concetto di personalizzazione e riparazione.

Questo “spirito artigiano” è infatti fondato su alcuni capisaldi perennemente rigenerati: la passione e l’identità legata al proprio agire e a ciò che questo produce, l’utensile e il luogo di produzione, da utilizzare ma anche da rispettare e proteggere.

La bottega “è molto più di un luogo di lavoro”

Questa affermazione, presa a prestito dal Manifesto dei nuovi artigiani del XXI secolo curato dai giovani imprenditori di Confartigianato (maggio 2015) ci richiama alla potenza e modernità del concetto di bottega.

La bottega è sempre stato luogo stratificato, dalle mille funzioni e dai mille significati. Luogo di produzione ma anche di apprendimento, luogo di ideazione ma anche di vendita. La figura dell’apprendista e soprattutto il processo di trasferimento della conoscenza dal maestro al giovane di bottega stanno tornando alla ribalta per la loro rilevanza ed efficacia. Esiste – ed è sempre più importante – una forma di conoscenza che le macchine e il software non riescono a codificare e immagazzinare in modo artificiale – e quindi a imitare: alcuni la chiamano conoscenza tacita, altri implicita. è proprio questa forma di conoscenza che richiede i processi di trasmissioni tipici del mondo artigiano, molto partecipativi, con al centro il piacere della condivisione e del dono. Molti dei concetti derivati dalla condivisione e oggi molto di moda – dalla progettazione partecipata alla sharing economy – hanno la loro genesi nella cultura artigiana. Il filosofo Gilles Deleuze ha inoltre osservato che maestro non è chi dice “fai così”, ma chi dice “fai con me”, in un rapporto anzitutto di testimonianza, e poi di fiducia, di equilibrio tra libertà e disciplina.

Molto ispirativa anche una riflessione del filosofo Bruno Latour, che nota che «nella bottega artigiana e attraverso di essa le qualità del mondo cominciano a cambiare […] Inoltre la bottega riunificava spesso il luogo di lavoro con la propria abitazione, ricomponendo in maniera naturale questi due mondi e armonizzando le due sfere della vita. La loro separazione – spinta ed estremizzata dal modello capitalistico – ha creato fenomeni come l’alienazione lavorativa, il pendolarismo e la congestione del traffico urbano – che sono tra i mali moderni che più affliggono la nostra vita contemporanea.

Nell’epoca dello smart work, la bottega artigiana ha quindi ancora molto da insegnare.

La poli-crisi e le sfide da affrontare

Tutto sta cambiando (panta rei – tutto scorre – era solito dire il filosofo greco Eraclito) … non solo la tecnologia e il mercato e cioè i bisogni dei clienti. Cambia anche l’assetto geopolitico del mondo, aumentano i flussi migratori, la popolazione invecchia e poi arriva la poli-crisi: cambiamento climatico, crisi energetica, emergenza sanitaria … per non parlare del crescente disagio sociale e dei rischi della guerra sotto casa.

E quindi cogliere il cambiamento non è più un’opzione: è una necessità. La questione è piuttosto come cambiare: guidare il cambiamento o esserne travolti?

Lo dice bene il filosofo e sociologo Edgar Morin: «Ciò che non si ri-genera, de-genera» Anche stando fermi, non facendo nulla, cambiamo rispetto al contesto e degeneriamo.

Perché 5.0?

Dal punto di vista delle tecnologie che l’artigiano deve padroneggiare, non c’è più solo il digitale; due nuovi fattori stanno entrando con prepotenza sul mercato: i dati e le tecnologie green per salvaguardare l’ambiente. Da qui l’espressione 5.0.

La bottega deve dunque diventare un luogo dove queste tre tecnologie potenziano le capacità dell’artigiano e ne limitano l’impatto sull’ambiente, facilitando il controllo della sua impronta sul territorio.

Sul digitale molto si è scritto e quindi darei per acquisita la sua rilevanza … quasi necessità. Il tema è piuttosto, viste le mille forme possibile che la materia digitale può assumere, quale tipo di digitale va adottato (per innovare, ma rimanendo nell’alveo della tradizione) e soprattutto come apprenderlo come trasferirlo alle maestranze. Dovremmo applicare anche al digitale quella formula di successo che ha accompagnato il mondo artigiano fin dalle sue origini: il dialogo continuo e originato da situazioni pratiche e reali fra maestro e praticante.

Vale invece la pensa spendere due parole in più sulle altre due tecnologie.

Partiamo dai dati: l’artigiano ha sempre fatto dell’intuito, della “pancia”, la sua fonte principale per comprendere il contesto e decidere cosa fare. Il contesto è diventato sempre più complesso e soprattutto cangiante e quindi non basta più l’intuito, non possiamo più accontentarci di ciò che ci sembra. Ci servono evidenze oggettive, ci servono sguardi diversi sullo stesso fenomeno. È qui che entra il mondo dei dati: archivi, sensori che raccolgono infiniti dati, piattaforme digitali che possono analizzare velocemente grandissime quantità fornendo delle sintesi comprensibili, sistemi di rappresentazione che consentono di visualizzare in modo efficace ciò che i dati indicano.

E poi le tecnologie “green”: è utile ricordare che il mondo artigiano ha sempre rispettato l’ambiente perché non solo era la sua abitazione ma dalla qualità e “ben-essere” di questo ambiente ricavava la materia oggetto del suo fare. “Km 0” è uno slogan moderno per un concetto antico che ha sempre fatto parte dello spirito artigiano

E questo rispetto per l’ambiente si è materializzato – oltre che nell’uso sapiente e rispettoso di quanto la natura offriva – anche nel desiderio di ri-parare, di ri-generare, di ri-costruire quanto creato. Per questo motivo il suffisso “ri-“ è nel cuore dello spirito artigiano.

La sua potenza ci viene descritta da James Hillman ne Il linguaggio della vita rileggendola in chiave psicologica: «… ‘ri’, la sillaba più importante della psicologia: ri-cordare, ri-tornare, ri-vedere, ri-flettere … Ma di tutte queste parole che cominciano con ‘ri’, la più importante potrebbe essere ri-spetto, in cui c’è l’idea del ‘guardare di nuovo’. […] Ri-spettare noi stessi invece di ispezionare noi stessi con senso di colpa.»

I primi elementi di una bottega 5.0

Per capire la potenza e modernità del concetto di bottega artigiana può essere utile richiamare una riflessione di Richard Sennett ne L’uomo artigiano.

L’artigiano non è solo un mestiere, ma anche uno stile di vita, un modo diverso di percepire il lavoro. Se l’uomo occidentale ricoprisse la mentalità dell’artigiano, cambierebbe la qualità del suo lavoro. L’artigiano lavora per realizzare se stesso nel lavoro compiuto.

Le botteghe medievali sono un esempio potente che rende possibile questa nozione di artigiano: il sistema delle corporazioni medievali era infatti strutturato in maniera tale che ogni corporazione aveva un maestro, che guidava gli allievi nell’apprendimento del mestiere i cui segreti erano un tesoro geloso della corporazione. L’apprendimento e la realizzazione di un lavoro erano il frutto di una crescita personale che avveniva nel mondo della bottega.

E allora che caratteristiche deve avere, oggi, una bottega artigiana?

Scopo di questa nuova sezione nel sito “Spirito Artigiano” non è ovviamente definire la bottega ma piuttosto delinearne i contorni per accendere il dibattito all’interno del Sistema Confartigianato sul suo modello evolutivo.

In effetti possiamo vedere queste nuove tecnologie – digitale, dati e green – come un nuovo strato, una sorta di tappezzeria, che veste la bottega rendendola più pratica, funzionale e amica dell’ambiente.

Può essere utile riprendere un concetto antico – genius loci … lo spirito del luogo – a cui il digitale ha dato nuova vita, grazie alle sue capacità di modellizzare e attivare processi “non visibili”.

Potremmo dire che la tecnologia è il genio della bottega che, quando viene attivato, potenzia il lavoro di chi vi opera … e questa capacità di potenziamento è parte della bottega. Il genio, infatti, abita il luogo ma deve essere attivato da specifiche competenze e desideri …

Per facilitare la discussione potremmo allora suddividere le attività tipiche svolte nella bottega in 8 ambiti:

  1. Ispirarsi
  2. Concepire e progettare (idee e prototipi)
  3. Sperimentare e adattare
  4. Realizzare
  5. Riparare e rigenerare (grazie all’economia circolare)
  6. Formare maestranze
  7. Relazionarsi con i clienti (ascoltando e stimolando)
  8. Raccontarsi al mercato (in primis quello di vicinato)

È allora potremmo vedere la definizione di bottega 5.0 come la risposta alla domanda “quali tecnologie utili?” replicata per ciascuna delle aree identificate.

Nei prossimi articoli che verranno pubblicati in questa nuova sezione approfondiremo ciascuno degli ambiti identificati – soprattutto raccogliendo stimoli e punti di vista del sistema per rimettere al centro l’esperienza sul campo.

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