Soffitto di cristallo, labirinto, tubo che perde; le metafore sulla condizione delle donne e sullo sviluppo della leadership femminile non raccontano storie di piani inclinati e di agenti facilitatori, ma tutt’altro. Viviamo in una società in cui il genere femminile viene bistrattato in ogni modo: dal punto di vista del mercato del lavoro, fino al sistema sanitario passando per il linguaggio, l’urbanistica, la storia, lo sport e le infrastrutture. Tutto, intorno a noi, è fatto a misura d’uomo.

Questa disparità ha radici che partono da molto lontano, addirittura dai percorsi di formazione: gli ultimi report Pisa-Ocse sul mondo dell’istruzione italiana dipingono una situazione sconfortante: l’Italia è addirittura il Paese Ocse con lo squilibrio più alto tra maschi e femmine per quanto riguarda la matematica, dove i ragazzi di 15 anni fanno registrare punteggi molto migliori (21 punti) rispetto alle ragazze loro coetanee (che però fanno meglio nella lettura).

Il divario nelle materie scientifiche registrato a scuola si “trascina” poi nella formazione universitaria: anche se i dati più recenti mostrano come le ragazze siano nettamente più propense a laurearsi dei ragazzi (il 36% delle giovani tra i 25 e i 34 anni ha una laurea contro il 23% dei loro coetanei uomini, secondo gli ultimi dati di Eurostat), le donne con una laurea nelle materie STEM sono solo il 13,6%, mentre tra i maschi tale percentuale sfiora il 20%.

 

“In Italia, ci sono oltre 900 mila giovani NEET e il 71,2% di questi sono donne”

 

A questo si aggiunga il fatto che in Italia, ci sono oltre 900 mila giovani NEET (Not in Education, Employment or Training), e il 71,2% di questi sono donne. E nel mondo del lavoro la situazione non migliora: il tasso di occupazione femminile in Italia è fermo al 55% ben 20 punti in meno di quello relativo agli uomini. Un gender gap tra chi lavora e chi no che nel nostro Paese è quasi doppio della media (10,7%) dell’Unione Europea.

Non deve quindi stupirci la fotografia riguarda il mondo dei manager: nonostante dei dati in crescita negli ultimi anni, in Italia solo il 20% dei manager sono donne, che riescono ad accedere a tale ruolo più nel settore dei servizi (24,7%) che nell’industria (15,1%). Tra i giovani (under 40) la situazione è un po’ più equilibrata, ma anche qui le donne sono una minoranza (meno di un manager su 3 è donna).

Eppure, molti studi dicono che una maggiore partecipazione femminile alla vita pubblica (politica, sociale e d’impresa) aiuterebbe lo sviluppo del Paese. Secondo alcune stime, dimezzare il gender gap nel tasso di occupazione, portandolo sui livelli medi europei, avrebbe un impatto enorme sul PIL italiano, che crescerebbe all’incirca del 10% (un’enormità se si considera la stagnazione del reddito nazionale, che quest’anno crescerà di meno dell’1%).

 

“Esiste uno stile di leadership femminile?”

 

Ci sono quindi ben pochi dubbi sull’opportunità di una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro in tutte le sue forme e – di conseguenza – una presenza molto maggiore di donne in ruoli di leadership, anche e soprattutto nel mondo del business. A questo punto, però, vale forse la pena di interrogarsi su un’altra questione, e cioè: esiste uno stile di leadership femminile? In che modo questo stile, diverso, contribuirebbe a una maggiore vitalità – e quindi crescita – dell’economia?

Sul piano puramente quantitativo, è facile capire perché con più donne impegnate nel lavoro e nelle professioni l’economia subirebbe un balzo in avanti. Ma il punto è che più donne ai vertici significa anche una maggiore diffusione di un modo diverso di approcciare la leadership e le sue complessità. E questo avrebbe anche effetti concreti sullo sviluppo della società.

Di certo, sappiamo che le differenze nello stile della leadership si riscontrano per quanto riguarda il mondo della politica. Uno studio condotto dall’Università Bocconi di Milano, coordinato da Paola Profeta sulla base del dataset del Comparative Candidate Survey, dimostra che a una maggior presenza di donne nei ruoli decisionali corrispondono maggiori interventi su temi importanti ma considerati solitamente come meno prioritari, perché riguardano soprattutto la vita delle donne.

Nello stesso studio vengono inoltre analizzati alcuni tratti caratteristici delle leadership femminili: queste sembrerebbero definire uno stile più partecipato, in cui è maggiore il coinvolgimento, all’interno dei gruppi di lavoro di decision making, dei destinatari delle politiche perseguite. Lo stile femminile di leadership viene anche ritenuto più attento alle opinioni degli elettori, una dimensione di responsabilità che si potrebbe tradurre in una maggiore capacità di accountability. Contemporaneamente, le donne mostrerebbero una minore propensione a emergere come leader “di rottura”, che possano mettere in discussione alcuni meccanismi consolidati.

Più inclusione, più coinvolgimento, più partecipazione, più accountability, più attenzione all’ambiente. Quelle che sembrano le caratteristiche tipiche delle leadership femminili sembrano essere perfette per i nostri tempi segnati da crisi di ogni tipo. E questo rende ancora meno comprensibile e tollerabile la disparità della nostra società.

(L’ Autrice ringrazia per la collaborazione alla stesura del pezzo, Salvatore Borghese).

 

Foto di Nataliya Vaitkevich