Il dramma delle culle vuote è un problema serissimo in Italia. Anzi, probabilmente, è il problema. La questione del saldo demografico negativo intreccia moltissimi ambiti: dal lavoro al sistema pensionistico, dalla sanità al welfare. E, soprattutto, come ha avuto modo di sottolineare in una recente intervista il demografo Alessandro Rosina su Spirito Artigiano , sembra una questione dimenticata. Appare come un paradosso, ma tant’è.
A fronte di questa – colpevole – amnesia collettiva, c’è chi alimenta una fiammella che rischiara il sentiero della speranza. Gigi De Palo, presidente del Forum delle Famiglie e della Fondazione per la Natalità, promuove quest’anno la terza edizione degli Stati generali della Natalità (11-12 maggio a Roma), anticipando gli obiettivi sui quali si prefigge di sensibilizzare opinione pubblica e politica.
Dopo la pandemia il numero delle nascite è drammaticamente sceso sotto quota quattrocentomila all’anno. Sono numeri preoccupanti.
«Sì, ma il punto è che la crisi demografica nel nostro Paese non nasce oggi. Ci sono articoli di giornale che denunciano l’inizio di questo trend a partire dalla seconda metà degli anni ’90. La crisi economica del 2008 ha contribuito ad aggravare ulteriormente il quadro, la pandemia poi ha fatto il resto. Come Fondazione per la Natalità sono almeno otto anni che denunciamo che questo sia il vero problema del Paese».
Il problema non riguarda solo l’Italia.
«No, anche la Cina è in grande sofferenza sotto il profilo demografico. E questo è un grosso problema per loro perché sta venendo via via a mancare la forza demografica per espandersi. Dunque si arriva al vero punto cruciale: il Pil».
Sul piano economico, qual è l’impatto?
«Il risultato di questa tendenza è che ci sia più offerta di lavoro che persone in età da lavoro. E questo, chiaramente, è drammatico. Senza contare gli effetti che tutto questo provoca sul sistema sanitario, sul welfare e sul piano pensionistico e dei conti pubblici».
La soluzione sono le migrazioni?
«Se si continua a non avere una visione d’insieme e a distribuire pannicelli caldi piuttosto che individuare politiche attive che invertano questo trend non vedo altre strade percorribili. Con buona pace della politica».
Quali sarebbero, secondo lei, le strategie da adottare?
«Innanzitutto occorre darsi un obiettivo. Secondo noi la soglia delle nascite deve raggiungere quota cinquecentomila entro il 2033. In questo modo possiamo ancora sperare di “salvarci” e salvaguardare il sistema Paese. Diversamente, le prospettive sono assai buie. Dal punto di vista pratico i modelli da seguire potrebbero essere quello francese e quello tedesco. In Germania, ad esempio, lo stato garantisce un assegno unico per ogni figlio da trecento euro al mese per tutti, prevedendo anche alcune detrazioni. Questo modello sta riportando la Germania ai livelli demografici del 1996».
Il presidente del Consiglio ha detto chiaramente che quello della famiglia è un tema prioritario per il suo esecutivo. Che valutazione dà della Manovra sotto questo profilo?
«Senz’altro il problema è stato posto in maniera inequivocabile da questo governo. Ed è stato lanciato un segnale: la volontà è quella di dare una risposta chiara. Questa Finanziaria è stata scritta in poco tempo, dunque secondo me quella decisiva sarà l’anno prossimo. L’unico mio auspicio è che nel frattempo non si perda tempo. Si deve già iniziare a ragionare in chiave prospettica. Aprire un tavolo di confronto sul quoziente familiare, sulla destinazione dei fondi del Pnrr. In modo tale da gettare, già oggi, le giuste premesse per la prossima Manovra».
Se è vero che il trend demografico negativo ha radici quasi trentennali, non si può immaginare che questo governo risolva un problema così difficile in poco tempo, non trova?
«Ma infatti, penso che gli errori su questo tema si trascinino da almeno venti leggi finanziarie. Sbagli macroscopici, metodologici. La politica ha preferito parcellizzare le risorse, cercando di assecondare interessi particolari piuttosto che intervenire in maniera determinante su questo tema. Una miopia incredibile, perché se si investe sulla famiglia, automaticamente il risultato si riverbera positivamente sui lavoratori, sui pensionati, sui giovani. La demografia avrebbe un effetto moltiplicatore straordinario. Se solo lo si capisse».
Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.