(di Daniela Cavallo) Mi era vietato andare in bottega dal nonno, forse perché poteva essere un luogo pericoloso per una bambina, forse proprio perché femmina non era adatto a me, forse chissà; di fatto adoravo la falegnameria di mio nonno, adoravo mio nonno. Allora scappavo.

Non era distante dalla casa dei nonni, nei pomeriggi d’estate correvo verso quel mondo che mi affascinava, pieno di strumenti magici che trasformavano il legno in altro da sé, come se la natura nascondesse oggetti per l’uso quotidiano o vere opere d’arte, tutto usciva dalle mani di mio nonno che, dal nulla, creava, trasformava. E mentre lavorava mi raccontava la differenza tra un legno e un altro, i colori, i caratteri, favole che bevevo ascoltando con la bocca aperta, lo guardavo e mi sembrava un gigante di bellezza. Poi arrivava il momento che mi dava un pezzo di legno, una piccola pialla, una lima, della carta vetrata e cominciavo a scavare cercando chissà quale forma, quale tesoro; finché non ho scoperto sotto una montagna di trucioli una delle sue matite piatte con la punta tagliata a coltello ed ho cominciato a disegnare cosa avrei voluto che ci fosse dentro a quel pezzetto di legno. Ho cominciato ad usare il cuore.

Poi il mondo dei colori: quelli con le terre minerali naturali, quei rossi rame, quei verde penicillina, quei blu lapislazzuli, poi le vernici con quell’odore intenso che ti stordiva di piacere.

E via di pennello, ovunque.

Così ho scoperto la creatività, che cosa voleva dire “fare” con le mani.

Ma come fare? “Fare con arte”, due parole meravigliose unite da una preposizione semplice che rappresenta il ponte tra una e l’altra.

Ed è iniziato il tempo delle domande: cosa vuol dire fare? E’ un verbo che indica l’agire per antonomasia, l’azione, l’intraprendere assumendosi una responsabilità. Fare deriva dal verbo greco “poiein”, fare con arte, appunto, inventare, comporre, da cui deriva la maggiore delle arti, la Poesia, quella che riesce a tradurre emozioni, un agire che, secondo i Greci, ha anche una ricaduta sociale. Fare è produrre, creare; la differenza tra fare e fare sta nel “come”, nelle relazioni che si innescano, nei riferimenti, nella logica di sviluppo di un’idea.

Allora cosa è l’arte? È fare con le mani e con lo “spirito”.

Così si distingue l’artefice, colui che fa con le mani, dall’artista, colui che esercita le belle arti (pittura, scultura, ecc.) e dall’artigiano, colui che esercita un’arte, ovvero fa, crea con le mani e con l’anima: tutti si ritrovano in un luogo, la bottega. Questa non era solo il luogo del lavoro, ma scuola di valori che portavano la centralità dell’uomo come guida, la bellezza e il benessere come obiettivi, sotto la guida di un maestro.

 

Ho così scoperto che mio nonno è stato il mio maestro e la sua “bottega” non solo il luogo dei sogni ma scuola di vita. Il mio futuro.

 

E’ arrivato poi il tempo del mestiere, del mio, e invece delle mani ho cominciato a “fare” con la testa” e con altri colleghi abbiamo ampliato le domande, e trovato risposte, iniziato ad aprire un insieme di riflessioni a un più ampio lavoro di ricerca dedicato all’evoluzione del modello della bottega “rinascimentale” verso il nuovo concetto di bottega “digitale”. In un contesto fortemente segnato dalla rivoluzione digitale la bottega “rinascimentale” si propone come “modello” imprenditoriale fortemente orientato all’innovazione, un ambiente ideale per i lavoratori della knowledge economy, che non è solo caratterizzata dalla presenza di tecnologie avanzate, ma implica anche innovative modalità di acquisizione e di formazione del sapere, di confronto e di condivisione delle conoscenze.

Così abbiamo pensato che l’Artigiano è il collegamento tra l’Artefice e l’Artista, è quel saper fare etico, intuendo l’importanza del fare gruppo e del fare con arte: le corporazioni dei mestieri (falegnami, lanaioli, tintori, fabbri, eccetera) sono state la prima forma di mecenatismo (vedi il primo concorso d’arte per la Porta del Battistero di Firenze, 1401) una spinta a costruire, attraverso l’arte, l’immagine dei nostri territori; mecenati con una strategia che è diventata identità, antesignani di tutti gli Enti di categoria che oggi portano avanti quello spirito. Territori che sono il risultato del rapporto con coloro che vivono, abitano quel territorio, lo disegnano, lo costruiscono.

Oggi, con un gruppo di lavoro su “Arte e Impresa”, sotto l’egida della Fondazione Accademia Carrara di Bergamo, ci siamo posti una domanda, forse la sfida maggiore: cosa è il “Made in Italy”? Non è un prodotto, è un modo di essere, una maniera di fare, è stata la risposta.

“Fatto in Italia”, due parole unite da una preposizione semplice che risponde anch’essa ad una domanda, in quale luogo, là dove per luogo si intende uno spazio di relazioni, spesso ancora da rendere visibili. Il verbo, l’agire, lo abbiamo già esplicitato, resta la seconda parola, Italia.

Qual è il carattere di questo luogo, l’Italia? È agire legandosi al territorio, guardando i colori, i materiali, il saper fare, la creatività, il Rinascimento continuo che tutti ci invidiano, la bottega che è un autentico modello di impresa attraverso l’arte.

 

A questo punto la domanda successiva è arrivata da sola: chi è l’imprenditore?

 

È colui che possiede tutti i gradi del “fare con arte” oltre all’arte di intraprendere un progetto, che agisce non solo per suo conto, ma per la bellezza, ovvero per la qualità del vivere della comunità in cui agisce, attivando una ricaduta di ricchezza da condividere nel territorio, un’idea originaria di Economia, le buone regole per amministrare il Territorio, per il Bene comune, per la Bellezza e per il Benessere.

Nel nostro ragionare viene in mente l’imprenditore ante litteram più noto, la figura chiave di quell’Italia che, unendo arte, economia e territorio, ha dato il carattere che ancora oggi ci viene riconosciuto nel mondo: Lorenzo de Medici, detto il Magnifico.

 

Dal passato ad oggi, in questo nostro tempo, abbiamo bisogno di creare nuovi modelli, nuovi paradigmi culturali e imprenditoriali attaccati al nostro passato che è carattere, radice, guida identitaria, capaci di interpretare il presente e di disegnare il futuro.

 

Forse avremmo dovuto anticipare la proposta del “New European Bauhaus”, che ha radici in Germania, con quella di un Ri-Ri-nascimento europeo partendo proprio dal “Made in Italy” come modello di vita sostenibile, evidenziando il legame forte tra Arte e Impresa, quel fare con arte che è la nostra maniera. Cerchiamo così Imprenditori Magnifici che siano modello del Made in Italy per costruire una visione del futuro che sia agire per il Bene Comune. Con Arte.

Magnifico era di certo mio nonno.

 

Foto di Devon Breen da Pixabay